Son trascorse appena tre settimane da quando i ragazzi son
tornati ma sembra che ne sia passata di acqua sotto i ponti per le tante cose
che son successe!
La cosa che più mi ha colpito è veder andarsene via 12
ragazzi, tra cui i più grandi con cui avevo costruito un bel rapporto anche
grazie al fatto che molti di loro li ho potuti conoscere di più attraverso l’esperienza
dell’orto: già i giorni prima, quando si parlava della loro partenza, avvertivo
una fitta al cuore e non volevo crederci e, quando il momento fatidico è
arrivato, non avrei mai pensato che sarebbe stato così difficile. Praticamente
tutti sono venuti a salutarli, ad abbracciarli per un’ultima volta, c’erano
fiumi di lacrime ed i fratelli volevano sfruttare al massimo ogni secondo prima
di congedarsi… Non è stato semplice per nessuno e mi sembrava strano dover
caricare tutte le loro cose, contenute in qualche borsa di plastica, nella
camionetta per un viaggio di sola andata: per uno strano scherzo del destino è
toccato a me, assieme a Liliana, all’assistente sociale, all’infermiera portali
all’hogar Don Bosco dove poi sarebbero stati assegnati ad uno dei centri per
minori che rientrano nel progetto salesiano. Durante il cammino si scherzava
come sempre, forse anche per stemperare la tristezza e per la consapevolezza
che le nostre strade prenderanno direzioni diverse e che le cose cambieranno,
fornendoci nuovi stimoli. Una volta arrivati a destinazione, ecco che aiuto a
scaricare i bagagli ed aspettiamo Padre Ottavio per l’accoglienza dei nostri
giovani: c’era un po’ di imbarazzo ma si poteva leggere nei volti di ciascuno
di loro la tensione, forse anche la paura di affrontare qualcosa di cui non si
conosce nulla e si è provato soltanto ad immaginare ma ora è lì, si è fatto reale. C’è
tempo per qualche foto, qualche raccomandazione, un ultimo consiglio ma né io né
i ragazzi abbiamo voglia di separarci, cerchiamo di tardare quel momento che
sappiamo già sarà difficile: è incredibile che in due anni con alcuni di loro
abbia creato un legame così forte che mi fa credere che quanto sto vivendo sia
soltanto un brutto sogno. Ho la fortuna/sfortuna (dipende da che lato si veda)
di salutarli per ultimo: una pacca sulla spalla, un abbraccio, un sorriso,
qualche occhio lucido… Me ne vado con la speranza di rivederli e con l’orgoglio
di aver condiviso un pezzo di strada con loro: so che ora stanno intraprendendo
un cammino che li porterà ad imparare un mestiere e a camminare da soli, senza
che nessuno li sostenga… Stanno diventando grandi, delle persone adulte e non
gli posso augurare che tutto il bene possibile.
Dopo qualche giorno, ecco che se ne vanno altri quattro: la
scena si ripete, anche se in tono minore. Al loro posto ne arrivano
altrettanti: ora il numero dei ragazzi è di 65, ben 15 in meno rispetto a
qualche mese fa! Si riorganizzano le camere e fa un certo che vederne di
chiuse, così come non riesco ad abituarmi alla fila per andare a mangiare o per
la preghiera serale: è dura abituarsi a tutto questo e sembra che ci sia un
vuoto da colmare, a volte mi volto per controllare che magari arrivi qualcuno
che invece ormai non vive più qui… Però è questione di attimi perché le mie
attenzioni vanno su chi è rimasto e sui nuovi arrivati: mi cercano per
qualsiasi motivo e devo farmi trovare pronto, con un sorriso, perché semplicemente
hanno bisogno di qualcuno che stia con loro ed io sono qui per questo.
Altro cambiamento importante è l’arrivo di Ennia, un’italiana
da tempo qui in Bolivia, che si occuperà di coordinare il lavoro degli educatori
e di sicuro sarà di grande aiuto: un grosso in bocca al lupo e benvenuta fra
noi!
Har baje
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