Nelle sere della settimana appena trascorsa, entrando per
ultimo nella cappella, ero in preda allo stupore accompagnato da un po’ di
timore ma anche da gioia nel vederla di nuovo piena: dopo un mese pareva così
strano!
Lunedì sono tornati tutti dalle vacanze: complice l’assenza
di Liliana per il maltempo che ha incontrato nel rientro dalle ferie, è toccato
a me riceverli uno per uno. Ero un po’ teso ma Sandra, l’infermiera, mi ha
aiutato in questo compito: la prima impressione era quella di trovarmi al primo
giorno di scuola, in cui i ragazzi si ritrovano! Per tutta la giornata c’era
un’atmosfera insolita: da un lato le grida di bentornato di chi era rimasto e
dall’altro le facce triste o malinconiche di chi, accompagnato da familiari o
padrini, faceva ritorno all’hogar. Non è stato tutto rose e fiori: in alcuni
casi i genitori e gli stessi figli facevano fatica a distaccarsi ancora una
volta e spesso c’erano occhi lucidi e gonfi che lasciavano fuggire qualche
lacrime e la richiesta, implicita, di avere un po’ di intimità per salutarsi e
abbracciarsi un’ultima volta. In molti mi hanno chiesto se il giorno di visita
è confermato per la prima domenica del mese e chiesto come fare per ottenerlo:
li ho rassicurati pur sapendo che in cuor loro ciò rappresenta una magra
consolazione perché non è la stessa cosa stare tre o quattro ore con il proprio
bambino rispetto ad averlo tutti i giorni con sé. C’è stato chi mi ha chiesto
come riottenere l’affidamento, chi se n’è andato rapidamente per poter piangere
in privato senza farsi vedere, chi mi ha riferito i suoi dubbi ed i problemi
avuti con il proprio fanciullo o fanciulla durante le vacanze al fine di
ottenere un consiglio o un po’ di conforto e chi, dandomi una vigorosa stretta
di mano, semplicemente mi ha detto “te lo riaffido ancora una volta, abbine
cura”.
Le reazioni dei ragazzi sono state molte diverse: chi è
entrato apparentemente tranquillo, quasi contento forse per celare quel che
sentiva dentro; altri nel rivedermi hanno sfoderato un sorriso smagliante e mi
hanno abbracciato; qualcuno non voleva sapersene di doversi separare dai propri
cari e piagnucolava; c’era chi era triste e preoccupato. Alla sera, in un clima
di euforia nel ritrovarsi tutti insieme e nel raccontare a tutti come si erano
trascorse le vacanze, c’è stato chi è andato in crisi: è il caso di Joel che mi
ha aspettato che uscissi dalla mia cucina per abbracciarmi forte, dicendomi che
già gli manca la sua famiglia… Comprensibile, un mese non si cancella, e so che
è preoccupato del suo futuro: tra pochi giorni andrà dai salesiani e non sa
cosa aspettarsi, ha paura di questo cambio. Non mi resta che accoglierlo tra le
mie braccia e dirgli che sapevo come si sentiva e gli faccio compagnia in
attesa che si tranquilizzi, nonostante abbia un po’ di faccende da sbrigare ma
poco importa: in quel momento la mia priorità era lui.
Il ritorno dei ragazzi ha sancito anche la fine delle ferie
del personale: finalmente posso tirare un po’ il fiato visto che nelle ultime
settimane ho dovuto sostituire Liliana, occuparmi dei vari magazzini tra cui
quello della cucina e gestire l’infermeria oltre a stare coi ragazzi ed a
occuparmi della manutenzione della struttura. E’ stato un periodo complesso che
mi ha permesso di apprezzare una volta di più quello che fanno le persone che
lavorano qui, dandomi una grossa mano quando ne avevo bisogno, e di mettere a
fuoco i punti su cui devo lavorare e migliorare: ci son stati momenti in cui
l’inesperienza si è fatta sentire, nonostante il mio impegno fosse totale, e le
difficoltà non sono mancate ma alla fine tutto è filato liscio. Ora però mi
aspettano nuove sfide e molte novità: martedì prossimo accompagnerò i più
grandi al Don Bosco per il loro trasferimento e ciò comporta un grande
cambiamento per me e per tutto l’hogar visto che erano sempre disponibili e ci
davano una grossa mano quando c’era bisogno. Si tratta di un’occasione di
crescita per tutti: per chi rimane perché imparerà ad essere più autonomo ed a
non dipendere da altri; per chi va perché getterà le basi del suo prossimo
futuro e per me che dovrò continuare a camminare con quanti resteranno,
cercando di migliorare quanto fatto finora.
Har baje
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