E' arrivato il primo freddo e, come di
consueto, il cielo di Santa Cruz si tinge di grigio.
Piove a sprazzi e questo non fa altro che incrementare la sensazione
che le temperature siano più basse rispetto ai giorni passati: vedo
i miei amici boliviani coprirsi e indossare felpe pesanti, mi
suggeriscono di fare altrettanto ma mi è difficile percepire questo
cambiamento come fanno loro, per me i 16 gradi previsti
come minima rappresentano quello che in Italia sarebbe la normalità
all'inizio della primavera.
Mi viene da sorridere mentre indosso
una polo (ammetto che fa freschetto per rimanere con una maglia con
le maniche corte) e chi mi è intorno mi guarda come colto di
sorpresa e mi chiede se davvero non ho freddo, suggerendomi di
mettermi qualcosa di più pesante. Li capisco: per chi è abituato a
vivere con temperature medie ben al di sopra dei 20 gradi anche il minimo abbassamento può spingerlo a coprirsi il più
possibile per evitare un malanno.
E' il mio giorno libero ma visto il
clima non ho molta voglia di andare in giro, preferirei starmene
nella mia stanza ma il frigo vuoto mi spinge ad uscire. Ne approfitto
per un giro in città, dove vengo rapito dallo spettacolo offerto dai
toborochi in fiore: un rosa che spicca dal grigiore di quella che
posso definire la prima giornata invernale dell'anno ed annuncia come
sempre l'arrivo del primo vento freddo della stagione. Resto sempre
affascinato nel vedere questi alberi, li ammiro stando fermo per
qualche minuto e ne rimango come stregato: non mi
stancherei mai di guardarli.
Mentre cammino ed osservando quelle
chiome rosate in lontananza, difficili da non notare, passo davanti
alla biblioteca: nei dintorni si trovano sempre ragazzi di strada che
dormono per terra ed oggi non fa eccezione. E' qualcosa che sempre mi
colpisce e mi scuote dentro ma in quest'occasione forse lo fa in
maniera più forte: vedo una ragazza, ha i capelli unti ma raccolti ed un'espressione
sofferente, è rannicchiata su sé stessa sopra un cartone. Si solleva leggermente
e lo fa in un modo tra il goffo e lo sfinito, stende sopra di sé una specie di lenzuolo, sembra di flanella seppure molto più
sottile, e si copre totalmente, forse nel tentativo di riposare almeno
per un po' dopo una notte passata chi sa come cercando di vincere le temperature in discesa. La scena si è svolta
in una manciata di secondi ma mi è sembrata durare molto di più: mi
ha colpito, il pensiero va alla tante fanciulle che il centro ospita
ed immagino quale sarebbe il loro destino al di fuori di queste mura,
forse si ritroverebbero proprio così, vivendo nella stessa situazione che ho sotto gli
occhi proprio ora. Un brivido mi scende lungo la schiena e so benissimo che non è
per il freddo.
Har baje
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