La scorsa settimana è stata intensa
sotto molti aspetti e non mi lasciava molto tempo libero però mi ha
regalato dei momenti, purtroppo per gran parte negativi, che mi hanno
spinto a fermarmi ed a pensare.
Il primo mi ha colto di sorpresa ed è
giunto in quella che doveva essere una delle tante occasioni per
condividere qualcosa coi ragazzi: mi ricordo con precisione che stavo
chiacchierando e ridendo con tre o quattro fanciulli, in attesa che
il sugo che stavo preparando per la cena fosse pronto, quando una di
loro ad un tratto si pone triste e confessa che darebbe tutto quello
che ha per poter stare insieme per qualche istante con il suo papà.
Continua dicendo che però questo suo desiderio non si avvererà mai
visto che lui è morto e non posso non notare che, nel proferire
queste parole, i suoi occhi cominciano ad inumidirsi e il suo volto
assume un'espressione malinconica: non l'avevo mai vista così. Nel
sentirla mi sono raggelato, non esiste manuale al mondo che spieghi
come comportarsi in questi casi, ma ero partecipe di quel dolore che
esprimeva con i suoi occhi e con il suo viso: avrei tanto voluto
cancellarlo ma non avevo questo dono, potevo solamente cercare di sviare il discorso verso altri argomenti spingendo anche
gli altri ragazzi presenti a farlo, impresa tutt'altro che semplice
visto che stavano tempestando di domande sul padre la protagonista di
questo piccolo episodio. Alla fine sono riuscito nel mio tentativo ma
ciò mi ha fatto capire quanta sofferenza è celata nel cuore dei
fanciulli che ho la fortuna di seguire e come siano capaci di
nasconderla e di camuffarla, salvo poi venire a galla nel momento più
inatteso.
Due eventi, molto simili tra loro,
hanno cambiato il senso della mia giornata di riposo: il primo è
aver parlato con una famiglia che aveva suonato al campanello per
chiedere informazioni su come potessimo ricevere un ragazzo nella
struttura e nei loro toni, nella loro insistenza nel ricevere
risposte alle loro domande vedevo la disperazione, la rassegnazione e
la consapevolezza che non potevano risolvere la cosa da soli. Mi
chiedo per l'ennesima volta cosa può spingere una madre, una zia o
una nonna a chiedere che il proprio figlio o nipote venga accolto in
una struttura come la nostra e la risposta credo si possa leggere
nell'espressione racchiusa nei loro occhi, che racconta di come
purtroppo ci si senta inadeguati o meglio impotenti davanti a situazioni molto complicate. L'unica cosa che posso fare è quella di
dargli il numero telefonico dell'assistente sociale ma ciò è sufficiente
per far rifiorire la speranza nelle donne e negli uomini che ho
davanti.
Verso l'ora di pranzo mi trovavo fermo
ad un semaforo ed uno dei tanti ragazzini di strada viene verso di me
ed inizia a pulire il parabrezza anche se non voglio: lo fermo
dicendo che non era il caso mentre guardavo i suoi vestiti sudici.
Mentre gli parlo se ne avvicinano altri, tutti avevano meno di 10
anni perchè qualcuno aveva intuito dal logo della camionetta che ero
di un hogar: il loro sguardo da spento e triste si era illuminato
dopo questa rivelazione, potevo notare una certa eccitazione in
quello che si dicevano. Cercano di farmi mille domande sul centro ma
evito di rispondere, provo a guardare da un'altra parte e mi accorgo
che mentre quei bambini si stanno prodigando a raccogliere degli
spiccioli lavando i vetri delle auto ed improvvisando ai semafori
piccoli spettacoli ci sono degli adulti seduti sul ciglio della
strada. Presumo che sono i loro padri o madri o comunque dei
familiari visto che li richiamano per nome quando hanno intascato
qualche soldino: stanno lì senza far niente o meglio stanno
mangiando qualcosa ma non capisco di che si tratta, altri masticano
foglie di coca mentre alcuni hanno un'espressione che fa capire che
sono totalmente fatti di alcol o di qualche sostanza. Nel vederli
provo un certo ribrezzo perchè comprendo quello che ho davanti a me
ed ora mi è chiaro il motivo di quella specie di euforia provata
da quella manciata di ragazzini nell'aver scoperto che venivo da un
centro di accoglienza: la camionetta che guidavo forse rappresentava per loro un sogno, la speranza che forse era arrivata l'occasione per
non vivere più in strada... Quando finalmente scatta il verde posso
riprendere il mio cammino ma non posso interrogarmi su quanti
fanciulli vivano così e su come non si possa aiutarli tutti, viste
anche le difficoltà economiche che vivono gli hogares: come si può
cambiare la loro situazione? C'è un'altra via per dargli una mano?
L'ultimo episodio è quello che più mi
ha demoralizzato: a seguito di alcuni fatti successi di recente e legati a problemi con i vicini, con
Liliana ho deciso di alzare il muro che delimita l'hogar. Questa
scelta la vedo come una sconfitta, come un'occasione persa perchè
credo che tutto si sarebbe potuto risolvere attraverso il dialogo:
quando impareremo che nessuno è portatore della verità assoluta ed
è solamente attraverso l'incontro con l'altro che possiamo crescere
e migliorare? Perchè ci è così difficile tendere la mano a chi ne
ha bisogno mentre è più facile fargli del male?
Har baje
Nessun commento:
Posta un commento