La festà del papà è ormai passata: è
una giornata particolare per i ragazzi perchè nei loro occhi si può
leggere la tristezza, la nostalgia di non stare con chi ha
contribuito a metterli al mondo, anche se purtroppo potrebbe essere
il motivo per cui sono in un hogar e non nella propria casa. Non lo
ammetteranno mai ma so che la loro mente, i loro pensieri si dirigono
per qualche istante verso quella figura paterna che tanto gli manca e
le reazioni sono le più disperate: lacrime, rabbia, malinconia...
Anche per me non è un giorno come gli
altri: dalla mattina c'è chi mi abbraccia, mi fa gli auguri, mi
regala qualcosa o mi mette in mano un bigliettino. Sono travolto da
una serie di emozioni difficili da descrivere come risulta complicato
descrivere il legame che giorno dopo giorno mi lega sempre più a
ciascuno di loro: mi preoccupo di loro, cerco di dargli consigli, li
curo... Mi dicono che sono il loro papà perchè ogni giorno cerco di fare le
stesse cose che un padre compie per i propri figli, la differenza è
che io ne ho più di una sessantina: si tratta di un titolo che a
volte mi mette i brividi per il significato importante e profondo che
racchiude, sento che per meritarlo devo lavorarci ancora molto eppure
ci sono momenti in cui quando mi chiamano così mi viene la pelle
d'oca e non posso che sorridere, non posso non essere contento perchè
nonostante i capricci, le crisi, le risate, gli scherzi e gli screzi
questi fanciulli li sento un po' miei, come se fossero i figli che
non ho mai avuto. Il fatto che lunedì mi abbiano dedicato una
canzone o sono venuti a regalarmi un abbraccio o solamente un sorriso
vuol dire tanto, significa che apprezzano quanto sto facendo, che mi
vogliono bene malgrado i rimproveri ed i tanti difetti.
La festa del papà è solo una delle
tante occasioni in cui i fanciulli mi mostrano quanto tengono a me,
primo fra tutti Bautista: ci sono momenti in cui non mi molla e mi
insegue con la sua sedia a rotelle oppure afferra la mia mano e la
stringe forte, mirandomi con un'espressione che dice tutto, ma quello
più bello è quando passeggiamo per il corridoio tenendo ben salda
la presa che ci unisce e ci permette di camminare l'uno al fianco
dell'altro.
C'è chi mi si para davanti e mi dà un
grande abbraccio, a volte talmente forte da togliermi il fiato,
oppure mi sorprende quando mi chiede se me lo può dare: chi sono io
per poterglielo negare? Fa bene ad entrambi e, con tutta probabilità,
più a lui che al sottoscritto.
Non mancano poi situazioni che mi
lasciano a bocca aperta, in cui l'affetto si manifesta in un gesto
oppure con il confidarmi le proprie paure o i propri pensieri, il
venirmi in braccio non appena si presenta l'occasione o il regalarmi
parte della merenda che gli hanno dato a scuola.
Tutto il bene che ricevo non viene
soltanto dai ragazzi del centro ma ora anche da fuori: penso
all'espressione felice di Sandra, una mia figlioccia, quando vado a
prenderla nell'hogar dove sta ora per portarla dal dentista ed alla
sua voglia di dirmi tutto quello che le passa, senza che gli chieda
niente, oppure ripenso al martedì appena passato, alla visita che ho
fatto ad Andrea, che è stata la mia prima figlioccia in assoluto.
Sono andato a trovarla per il suo compleanno, in notevole ritardo
visto che era in febbraio: mi ha accolto con un grande sorriso, era
contenta del vedermi e per tutto il tempo ha dato più importanza a
me che a quanto gli avevo portato come regalo. Abbiamo parlato di
tutto: dalla scuola a come passa il tempo nel centro in cui si trova,
della sua famiglia (in un modo del tutto differente rispetto ad altre
occasioni) ai suoi sogni ed aspirazioni, ai suoi timori per finire a
cosa abbiamo fatto entrambi nel periodo che non ci siamo visti. Mi ha
chiesto qualche consiglio e mi ha confidato che il giorno in cui ha
compiuto gli anni aspettava che sarei entrato dalla porta della sua
sala di pranzo, salvo poi capire che la mia assenza era dovuta al
fatto che l'educatrice che la segue si era dimenticata di avvisarmi
che potevo venire a trovarla proprio quel giorno: nel sentire queste
parole mi sono sentito un po' in colpa anche se in quella circostanza
non potevo fare niente. Abbiamo parlato così tanto che non ci siamo
accorti che il tempo fosse volato rapidamente, eravamo talmente presi
dal chiacchierare che ci siamo dimenticati di tutto il resto: visto
che aveva parecchi compiti da fare le ho detto che avrei tolto il
disturbo ed è qui che Andrea mi ha stupito una volta di più. Mi ha
accompagnato all'uscita ed ha continuato a parlare, a raccontarsi:
sembrava che non volesse lasciarmi andare via, era contenta che mi
fossi ricordato ancora di lei e del fatto che fossi andato a
trovarla. L'ho lasciata felice con la promessa che ci saremmo visti
presto e questo ha cambiato il senso della mia giornata: mi ha fatto
sentire una volta di più importante, amato per quello che sono e
sento, non per quello che do, da chi di diritto è entrato a far
parte della mia famiglia, in cui ci si prende cura l'uno dell'altro e
dove Andrea, insieme a tanti altri, è come una figlia, un regalo che
mi è stato dato e da custodire nel miglior modo possibile.
Har baje
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