Qualche tempo fa Papa Francesco ha invitato a riscoprire e
fare proprie le opere di misericordia: Liliana ha colto la palla al balzo ed ha
proposto all’equipo tecnico, di cui faccio parte, di farsi carico di questo
impegno. Tutti hanno dato il loro assenso e così si è pensato di cominciare con
l’assistere gli ammalati, inviando agli hogar ed ad alcune strutture che
assistono persone affette da differenti tipologie di disabilità una richiesta circa
la possibilità di recarsi lì e dare una mano. Una volta ricevuto un riscontro
positivo si è pensato di coinvolgere i ragazzi più grandi, in modo da fargli
capire che ci sono situazioni peggiori della loro e per insegnargli a fare del
bene. Per i più piccoli si è scelto invece di portarli ai vari incroci
disseminati per la città in cui è più facile incontrare le persone che vivono
per strada e dove i loro coetanei sono costretti ad esibirsi ed a lavare i
vetri delle auto nella speranza di ricevere qualcosa che gli permetta di
comprarsi da mangiare.
Ieri è stato il gran giorno, quello in cui il nostro
proposito ha cominciato a diventare realtà: con un gruppo di 10 ragazzi,
equamente divisi tra maschi e femmine, mi sono recato all'Hogar “Madre Teresa
de Calcutta”, gestito dalle missionarie della carità, che ospita anziani e
bambini affetti da diverse patologie. Per me non era una cosa affatto scontata:
quando mi hanno detto che sarei stato l’unico dell’equipo tecnico ad
accompagnare i fanciulli e che sarei andato proprio lì ho avuto più di una perplessità
in quanto non ero certo di essere all’altezza del compito assegnato. Il motivo?
Nelle due uniche volte che ci ero recato sono dovuto uscire dopo pochi minuti
dalle stanze dove si trovavano dei bambini paraplegici, che perdevano bava e
gridavano senza apparente motivo perché mi sentivo come soffocare, non riuscivo
ad accettare quanto vedevo ed il disorientamento aveva preso il sopravvento,
spingendomi a scappare. Ora il destino mi metteva nuovamente davanti a questa
situazione, voleva che affrontassi uno dei miei limiti: non potevo far altro
che fidarmi di Chi mi aveva messo in questa situazione e mi rallegravo che
perlomeno non la affrontavo da solo ma in bella compagnia.
Confesso che non ho dormito bene la notte precedente, ero un
po’ sulle spine anche perché dovevo essere d’esempio per i ragazzi: se si
fossero accorti di qualche mia esitazione, la cosa non avrebbe sicuramente
preso la giusta direzione.
Una volta caricata la camionetta di qualche genere alimentare, io ed i miei piccoli amici ci dirigiamo al centro: arriviamo,
scarichiamo i viveri e subito ricevo una bella scossa… La responsabile mi dice
che non può seguirci perché con le sue consorelle stanno facendo catechismo e mi
consiglia di fare un giro per la struttura, osservando dove possiamo essere più
utili. E’ stato un momento delicato in quanto i fanciulli mi hanno guardato
negli occhi e detto “Ora che facciamo?”. Non ho avuto alcun a esitazione e li ho
accompagnati nell’area dove si trovano gli anziani, qualcuno di loro affetto da
disturbo mentale o da qualche disabilità fisica. Sapevo che mi stavano osservando
come modello da seguire e per questo non ho indugiato a salutare, a fermarmi, a
tendere la mano, a sorridere e scambiare qualche battuta: mi sono reso conto
che avevo fatto la cosa giusta perché i ragazzi, sebbene inizialmente
intimoriti, hanno cominciato ad imitarmi anche se i più cercavano di starmi il
più vicino possibile.
Il momento più critico è stato quello in cui mi sono trovato
davanti alla porta del padiglione dei ragazzi affetti da disabilità più o meno
gravi: i ricordi del passato venivano rapidamente a galla, le perplessità erano
molte ma mi son fatto coraggio, se mollavo proprio ora questa visita sarebbe
stata vana. Aperta la soglia ci accoglie un’infermiera a cui dico che eravamo
lì per dare una mano mentre mi guardo attorno e vedo dei bambini spastici,
altri in carrozzina, alcuni con sindrome di down. Visitiamo rapidamente la
struttura, qualcuno degli ospiti si trova nel proprio letto, i ragazzi sono incuriositi e mi fanno 1000 domande. Ad un certo punto si avvicina una delle
incaricate e mi chiede se possiamo aiutare a dar da mangiare a qualcuno dei
piccoli pazienti: inaspettatamente si offrono in tre e mi sorprende il modo in cui
imboccano amorevolmente coloro a cui sono state assegnate. Altri mi chiedono di
visitare in modo più accurato il reparto e così mi ritrovo ad accarezzare, a
sorridere ed a parlare con una bambina spastica dall’aria assente che è accovacciata
nella propria culla e sembra che mi sorrida… La cosa, nata così spontaneamente
e senza pensarci molto, ha destato qualcosa in qualche altro ragazzo che copia
il mio gesto.
Per i maschietti che mi ero portato appresso non è stato
semplice l’approccio con questa realtà: mi hanno ricordato me quando sono
venuto qui le due volte precedenti, con una gran paura e quasi sconvolto dall’apprendere
che esistano realtà di questo tipo. Mi sono avvicinato a loro, cercando di
capire le loro impressioni, e li ho spinti a buttarsi, ovviamente senza
obbligarli: prima ho fatto vedere come avvicinarsi e come interagire, poi gli
ho detto che c’erano molti che aspettavano di essere aiutati col pranzo e visto
che eravamo lì potevamo essere utili. Gli ho fatto vedere come si fa ed i miei
sforzi sono stati premiati: quasi tutti si sono dati da fare e li ho visti
veramente contenti di quanto stavano realizzando. Ero soddisfatto per loro e
per quanto stavo realizzando io stesso, imboccando una bambina sudando sette
camice perché masticava molto lentamente e con difficoltà e ciò mi faceva
riflettere su quanta pazienza ed amore ha il personale che lavora in questo
hogar.
Ammetto che è stata una esperienza davvero intensa ed impegnativa, ne è valsa
davvero la pena viverla soprattutto con questi miei compagni di viaggio, che
vedendoli all’opera mi hanno riempito d’orgoglio e di ammirazione.
Har baje
Quando Signore ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, nudo e ti abbiamo vestito, ammalato e siamo venuto a trovarti...? (Mt)
RispondiEliminaQuando abbiamo questo nel cuore nulla ci può spaventare o fermare,anzi diventa un privilegio poter "accudire" Gesù!
Antonella, san Nicolò, mira