domenica 24 aprile 2016

Misericordia

Qualche tempo fa Papa Francesco ha invitato a riscoprire e fare proprie le opere di misericordia: Liliana ha colto la palla al balzo ed ha proposto all’equipo tecnico, di cui faccio parte, di farsi carico di questo impegno. Tutti hanno dato il loro assenso e così si è pensato di cominciare con l’assistere gli ammalati, inviando agli hogar ed ad alcune strutture che assistono persone affette da differenti tipologie di disabilità una richiesta circa la possibilità di recarsi lì e dare una mano. Una volta ricevuto un riscontro positivo si è pensato di coinvolgere i ragazzi più grandi, in modo da fargli capire che ci sono situazioni peggiori della loro e per insegnargli a fare del bene. Per i più piccoli si è scelto invece di portarli ai vari incroci disseminati per la città in cui è più facile incontrare le persone che vivono per strada e dove i loro coetanei sono costretti ad esibirsi ed a lavare i vetri delle auto nella speranza di ricevere qualcosa che gli permetta di comprarsi da mangiare.
Ieri è stato il gran giorno, quello in cui il nostro proposito ha cominciato a diventare realtà: con un gruppo di 10 ragazzi, equamente divisi tra maschi e femmine, mi sono recato all'Hogar “Madre Teresa de Calcutta”, gestito dalle missionarie della carità, che ospita anziani e bambini affetti da diverse patologie. Per me non era una cosa affatto scontata: quando mi hanno detto che sarei stato l’unico dell’equipo tecnico ad accompagnare i fanciulli e che sarei andato proprio lì ho avuto più di una perplessità in quanto non ero certo di essere all’altezza del compito assegnato. Il motivo? Nelle due uniche volte che ci ero recato sono dovuto uscire dopo pochi minuti dalle stanze dove si trovavano dei bambini paraplegici, che perdevano bava e gridavano senza apparente motivo perché mi sentivo come soffocare, non riuscivo ad accettare quanto vedevo ed il disorientamento aveva preso il sopravvento, spingendomi a scappare. Ora il destino mi metteva nuovamente davanti a questa situazione, voleva che affrontassi uno dei miei limiti: non potevo far altro che fidarmi di Chi mi aveva messo in questa situazione e mi rallegravo che perlomeno non la affrontavo da solo ma in bella compagnia.
Confesso che non ho dormito bene la notte precedente, ero un po’ sulle spine anche perché dovevo essere d’esempio per i ragazzi: se si fossero accorti di qualche mia esitazione, la cosa non avrebbe sicuramente preso la giusta direzione.
Una volta caricata la camionetta di qualche genere alimentare, io ed i miei piccoli amici ci dirigiamo al centro: arriviamo, scarichiamo i viveri e subito ricevo una bella scossa… La responsabile mi dice che non può seguirci perché con le sue consorelle stanno facendo catechismo e mi consiglia di fare un giro per la struttura, osservando dove possiamo essere più utili. E’ stato un momento delicato in quanto i fanciulli mi hanno guardato negli occhi e detto “Ora che facciamo?”. Non ho avuto alcun a esitazione e li ho accompagnati nell’area dove si trovano gli anziani, qualcuno di loro affetto da disturbo mentale o da qualche disabilità fisica. Sapevo che mi stavano osservando come modello da seguire e per questo non ho indugiato a salutare, a fermarmi, a tendere la mano, a sorridere e scambiare qualche battuta: mi sono reso conto che avevo fatto la cosa giusta perché i ragazzi, sebbene inizialmente intimoriti, hanno cominciato ad imitarmi anche se i più cercavano di starmi il più vicino possibile.
Il momento più critico è stato quello in cui mi sono trovato davanti alla porta del padiglione dei ragazzi affetti da disabilità più o meno gravi: i ricordi del passato venivano rapidamente a galla, le perplessità erano molte ma mi son fatto coraggio, se mollavo proprio ora questa visita sarebbe stata vana. Aperta la soglia ci accoglie un’infermiera a cui dico che eravamo lì per dare una mano mentre mi guardo attorno e vedo dei bambini spastici, altri in carrozzina, alcuni con sindrome di down. Visitiamo rapidamente la struttura, qualcuno degli ospiti si trova nel proprio letto, i ragazzi sono incuriositi e mi fanno 1000 domande. Ad un certo punto si avvicina una delle incaricate e mi chiede se possiamo aiutare a dar da mangiare a qualcuno dei piccoli pazienti: inaspettatamente si offrono in tre e mi sorprende il modo in cui imboccano amorevolmente coloro a cui sono state assegnate. Altri mi chiedono di visitare in modo più accurato il reparto e così mi ritrovo ad accarezzare, a sorridere ed a parlare con una bambina spastica dall’aria assente che è accovacciata nella propria culla e sembra che mi sorrida… La cosa, nata così spontaneamente e senza pensarci molto, ha destato qualcosa in qualche altro ragazzo che copia il mio gesto.
Per i maschietti che mi ero portato appresso non è stato semplice l’approccio con questa realtà: mi hanno ricordato me quando sono venuto qui le due volte precedenti, con una gran paura e quasi sconvolto dall’apprendere che esistano realtà di questo tipo. Mi sono avvicinato a loro, cercando di capire le loro impressioni, e li ho spinti a buttarsi, ovviamente senza obbligarli: prima ho fatto vedere come avvicinarsi e come interagire, poi gli ho detto che c’erano molti che aspettavano di essere aiutati col pranzo e visto che eravamo lì potevamo essere utili. Gli ho fatto vedere come si fa ed i miei sforzi sono stati premiati: quasi tutti si sono dati da fare e li ho visti veramente contenti di quanto stavano realizzando. Ero soddisfatto per loro e per quanto stavo realizzando io stesso, imboccando una bambina sudando sette camice perché masticava molto lentamente e con difficoltà e ciò mi faceva riflettere su quanta pazienza ed amore ha il personale che lavora in questo hogar. 
Ammetto che è stata una esperienza davvero intensa ed impegnativa, ne è valsa davvero la pena viverla soprattutto con questi miei compagni di viaggio, che vedendoli all’opera mi hanno riempito d’orgoglio e di ammirazione.
Har baje

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1 commento:

  1. Quando Signore ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, nudo e ti abbiamo vestito, ammalato e siamo venuto a trovarti...? (Mt)
    Quando abbiamo questo nel cuore nulla ci può spaventare o fermare,anzi diventa un privilegio poter "accudire" Gesù!
    Antonella, san Nicolò, mira

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