mercoledì 20 marzo 2019

Come un papà

Ieri i ragazzi mi hanno fatto festa: è una strana sensazione ricevere gli auguri per il giorno del papà sopratutto quando non hai figli naturali, come nel mio caso. Mi è difficile nascondere un po' di imbarazzo nel sentire queste parole e nel ricevere degli abbracci sinceri e dei bigliettini fatti apposta per me ma allo stesso tempo non posso non dirmi felice, non essere soddisfatto di questa forma di riconoscenza e di affetto dei fanciulli.
Ne ho ricevuto molti di biglietti, li ho aperti quando ero solo perchè in cuor mio sapevo mi avrebbero commosso: quasi tutti mi augurano di trascorrere nel miglior modo possibile la giornata ma un paio mi hanno colpito più di tutti gli altri... Mi ringraziano perchè lì amo così come sono e per sostenerli sempre: parole che dette da bambini di 10/12 anni mi stupiscono in quanto non usano giri di parole e vanno direttamente a segno con una semplicità disarmante. Nel leggerle mi strappano un sorriso, mi ripagano di tutte le difficoltà che incontro durante la giornata e mi fanno sentire bene perchè non è facile ogni giorno avere a che fare con 64 giovani vite di età diverse che ne combinano di tutti i colori.
Non è affatto semplice sapere cosa fare quando qualcuno fa i capricci e nei suoi scatti di rabbia vuole rompere tutto ciò che gli capita a tiro, fa male quando come l'altro giorno una bambina mi ha risposto male dicendomi delle cose irripetibili oppure mi sento impotente quando vedo che tutti i miei sforzi fatti affinchè qualcuno mangi quello che ha nel piatto risultano vani: spesso mi capita di pensare al mio papà, a quanto gli è costato farmi crescere e a quanti bocconi amari gli ho fatto ingerire anche se non era mia intenzione, gli stessi che ora questi fanciulli a volte mi riservano. Penso al suo amore, molto più grande degli ostacoli che ha trovato nel farmi crescere, e non posso fare altro che ringraziarlo, consapevole che ora tocca a me fare altrettanto.
So benissimo di non essere il padre naturale di questi bambini ma li vedo crescere e cerco di consigliarli perchè diventino delle persone buone; li rimprovero quando c'è bisogno ma anche mi congratulo con loro quando lo meritano; sono lì quando piangono, ridono o stanno male; li abbraccio quando ne hanno bisogno ma mi piace anche essere un loro compagno di giochi: ho imparato a conoscerli, a volergli bene, accettandone pregi e difetti, e non conto le notti insonni passate a pensare su come capirli ed aiutarli di più o preoccupandomi dei loro stati d'animo. Mi capita di lasciare tutto quello che sto facendo se noto che uno di loro sta male: è capitato anche ieri quando, in mezzo alla festa, ho intravisto uno dei più piccoli per terra, con l'aria arrabbiata e triste allo stesso tempo, ed ho preferito andare da lui ad accertarmi cosa fosse successo anziché godermi il divertimento di quei momenti. Era giusto farlo e non mi importa molto delle critiche che qualcuno mi ha mosso per questo mio comportamento: se quel fanciullo che non voleva mangiare e faceva i capricci fosse stato figlio suo lo avrebbero ignorato oppure avrebbero fatto tutto il possibile per indurlo a mandare giù qualcosa? Personalmente ho scelto la seconda opzione perchè questi ragazzi li sento un po' miei, non vederli star bene non mi lascia tranquillo e rappresentano il motivo per cui cerco di migliorarmi ogni giorno, anche se a volte riescono a farmi arrabbiare o non li capisco: in questo credo di assomigliare a chi è papà per davvero.
Har baje

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