L'altro giorno stavo facendo qualche
lavoretto nell'orto quando suona il campanello collocato all'ingresso
dell'hogar. Incuriosito cerco di sbirciare per capire chi potrebbe
essere: pensavo ad una donazione, ad un controllo del gas oppure a
dei familiari dei nostri ragazzi che volevano fargli visita. Nulla di
tutto questo: da lontano intuisco che è una signora, penso che
probabilmente abbia un appuntamento con Liliana per cui ritorno tranquillo alle mie attività.
Passano una manciata di minuti quando
mi viene a cercare Sandra, una mia figlioccia che è incaricata nel
pomeriggio di fare un po' da portinaia: mi dice che la donna al
cancello vorrebbe parlare con qualcuno dei responsabili e visto che
non ci sono né Liliana, né l'assistente sociale e tanto meno la
psicologa tocca a me riceverla.
Lascio quanto stavo facendo, vado
all'ingresso accompagnato dalla ragazza e saluto la signora,
accennando un sorriso. Noto la sua espressione preoccupata, mi sembra
tesa e mi sorprende quando mi chiede subito quali sono le
problematiche dei ragazzi ospitati nel centro, il motivo per il quale
sono qui. Spiazzato da tale richiesta rimango sul generico, sottolineando il fatto che non sono i responsabili della struttura a decidere chi ammettere
o meno ma è la difensoria dell'infanzia ed adolescenza a stabilirlo:
nessuno può entrare come ospite attraverso una scelta interna
dell'hogar.
La signora annuisce e fa un gesto di rassegnazione, come ad indicare che lo sapesse già ma non voleva
rassegnarsi all'idea. Mi guarda dritta negli occhi e comincia ad
aprirsi, inizia a confidarsi con me, con uno che neppure conosce: mi
racconta che la richiesta nasce dal fatto che è preoccupata per il
figlio di 12 anni perchè non sa più come parlargli, come
comportarsi con lui per aiutarlo. Dice che è arrivata ad
accompagnarlo a scuola e ad assicurarsi che vi entrasse ma ciò è
stato vano: il fanciullo non entrava a lezione e rimaneva a vagare
per l'atrio senza fare nulla col risultato di avere 5 materie
insufficienti, a cui probabilmente se ne sarebbero aggiunte altre tre.
Vista la situazione gli ha dato una specie di ultimatum: se non
voleva studiare doveva iniziare o a lavorare oppure iniziare un
corso di specializzazione tecnica in modo da costruirsi un futuro. La
risposta che ha ricevuto era quella che non doveva intromettersi
nella sua vita, non aveva il diritto di imporgli cosa dovesse o non
dovesse fare... A questo punto ammette che avrebbe voluto dargli più
di uno schiaffo: sento dal tono della sua voce il senso di rabbia e
di frustrazione per una situazione da cui non riesce ad uscire.
A questo punto sento il dovere di
interrompere il suo racconto, dicendole che ha fatto bene a non
passare alle maniere forti col ragazzo per non aggravare il problema,
per cercare di calmare la donna ed anche per allontanare la mia
figlioccia, che fino a quel momento era stata presente e non volevo
che sentisse il seguito della storia, che già immaginavo non sarebbe
stata a lieto fine.
La piccola pausa serve alla mia
interlocutrice per calmarsi, forse le mie parole sono servite a
qualcosa, e per farle riprendere fiato. Ricomincia il racconto dal momento
in cui inizia a portare il ragazzo a lavorare con sé e qui la
situazione si complica: un giorno, approfittando di una sua assenza
di qualche minuto, il figlio scappa e ricompare a casa soltanto a
tarda serata. Alle domande di dove fosse finito non risponde,
anzi il suo atteggiamento si fa aggressivo. Col passare dei giorni il
giovane torna a tarda notte solo per dormire e non si sa cosa faccia
tutte quelle ore fuori casa.
Sa che non si può andare avanti così
e non può risolvere la cosa da sola: riesce a portare il figlio alla
difensoria dell'infanzia e gli spiega cosa sta accadendo, interrogano
pure il giovane ma tutto rimane come prima, anzi la situazione
precipita. E' costretta a chiudere la porta di casa per non far
entrare il figlio, che è sempre più ribelle, ma lui entra per le
finestre, addirittura comincia a portare via le sue cose. Per andare
dove? E' sicura che per agire in questo modo non è solo, ci deve
essere qualcuno che lo consiglia: viene a sapere che dorme da dei
vicini ed ha il coraggio di andare da loro per chiedergli se ciò
corrispondesse al vero. Le dicono di sì ed ha la forza di dirgli di non
riferire al figlio che è venuta a cercarlo, vuole solo sapere se sta bene oppure no. Il giorno dopo la informano che il giovane non dorme più
lì ma gira per il quartiere con un gruppo di ragazzi di strada.
Vedo i suoi occhi inumidirsi ma vedo
anche quella determinazione e quell'amore che solo una madre può
avere: non vuole vedere il figlio trasformarsi in un delinquente, in
un drogato, in uno che sniffa colla per non sentire la fame... Se lei
non può aiutarlo è importante che qualche altro lo faccia: pazienza
se non potrà più vederlo, quello che più conta è che stia bene ed
al sicuro dai pericoli di una vita di strada. Me lo dice, me lo grida
facendomi capire quanto lo ami e quanto il suo cuore sia lacerato dal
dolore provocato da questa situazione.
Mi sta chiedendo aiuto perchè sa che
lei non può più fare niente: mi sento del tutto impotente davanti
ai suoi occhi... Posso soltanto ascoltarla, farla sfogare perchè
probabilmente non sono molti quelli che vogliono sentire le sue
parole. Non le ho parlato molto perchè era importante farla parlare,
sentire che in questa battaglia non è sola ma c'è sempre qualcuno
al suo fianco per aiutarla o semplicemente ascoltare quello che sta
provando.
Alla fine del suo racconto le do il
numero di telefono dell'assistente sociale del centro ed i giorni in
cui la può trovare: sicuramente può dargli delle indicazioni su
come districarsi in tutto questo. Mi ringrazia e se ne va prima di
scoppiare in lacrime, lasciando in me un senso di profonda tristezza
ed una domanda: quanti casi simili al suo ci sono? Non è la prima
volta che vengono al centro a chiedere di lasciare i propri figli per
motivi economici o di condotta ma stavolta la cosa mi ha colpito
profondamente. Mi chiedo se si può fare qualcosa per prevenire
situazioni di questo genere, se si può cambiare questa realtà così
difficile da mandare giù ma le risposte tardano a venire ed i dubbi,
gli interrogativi aumentano e mi spingono a chiedermi: ed io cosa
posso fare?
Har baje
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