Mercoledì l'assistente sociale mi ha
chiesto di portare lei e Sandra, una mia figlioccia, a far visita
alla sorella minore che sta in un altro hogar: di solito questo
compito spetta a don Claudio ma, visto che aveva piovuto e la strada
per arrivarci è completamente di terra, era preferibile andarci con
il veicolo più nuovo che abbiamo e che soltanto io e Liliana
utilizziamo.
Sapevo già che il centro dove eravamo
diretti era molto diverso da quelli che già conoscevo poiché la
sorellina di Sandra è affetta da idrocefalia, più volte l'avevo
sentito nominare ma mai ho avuto l'occasione di visitarlo: questa era
la buona volta per farlo! Ero davvero curioso di vedere da vicino
questa realtà che ospita diversi ragazzi affetti da differenti forme
di disabilità, da quella fisica a quella mentale, ma più ci
avvicinavamo più cresceva in me la preoccupazione di come avrei
reagito davanti a quello che avrei visto.
Una volta lasciata la strada principale
ho percorso quasi due chilometri di sterrato, rovinato e pieno di
buche per il recente maltempo: quasi stentavo a credere che una
struttura che ospita dei fanciulli con problemi potesse trovarsi
disperso nella campagna, senza alcun mezzo di trasporto... Ed io mi lamento che arrivare all'hogar a volte è difficile!
Quando arriviamo, suoniamo il
campanello e restiamo in attesa mentre posso intravedere già qualche
ospite: un adolescente in carrozzella con una sola gamba ed un
giovane con sindrome di down che si avvicina e ci sorride. Ci fanno
accomodare ed ecco che arriva Lucia, la sorellina di Sandra, che
cammina aiutata da un carrello: è felice di vederci e abbraccia
prima la mia figlioccia, poi l'assistente sociale e,
inaspettatamente, anche me che non mi aveva mai visto prima.
Sandra si mette a piangere perchè era
da tanto che non vedeva la sorella, so che le vuole molto bene, e
credo che è veramente commossa nel vederla camminare in quanto l'ha
sempre vista in sedia a rotelle: mi ha emozionato tantissimo vedere
Lucia consolarla e riempirla di parole d'affetto, una bellissima
scena di amore fraterno!
Il tempo passa e si avvicina il momento
della merenda: lo spazio in cui ci troviamo si riempie dei piccoli
ospiti della comunità e proprio in questo momento comincio a
sentirmi in disagio, vedo tanti giovani con diverse forme di
disabilità che mi attorniano e nel vederne così tanti assieme sento
come se mi mancasse l'aria. A poco a poco riemerge uno dei miei tanti
limiti: il non saper come comportarmi quando mi trovo davanti a
persone affette da sindrome di down o comunque da qualche disturbo
mentale e qui me ce ne sono parecchie! Non è possibile, mi dico, mi
ritrovo al punto di partenza dopo aver conosciuto ragazzi che hanno queste problematiche, seppur in forma più
leggera, e vivendoci assieme.
La mia reazione è quella di stare
sulle mie, di isolarmi o di concentrarmi sulle persone che conosco ma
provo una specie di imbarazzo a stare lì, sento che mi stanno
osservando ma in tutti i modi voglio evitarlo, non so se posso
riuscire a rimanere lì ancora a lungo. Nel rifugiarmi nei miei
pensieri arriva un ragazzo, mi abbraccia, mi salta in groppa e,
nonostante gli educatori lo ammoniscono di non farlo più, ripete la
cosa più volte: gli dico di non far così perchè rischiamo di farci
male in due ma alla fine mi strappa un sorriso e gli accarezzo la
testa in segno di affetto, con il risultato che si allontana felice.
La mia attenzione poi si rivolge su una
ragazza in sedia a rotelle, mi colpisce la sua serenità ed il suo
sorriso: si avvicina a Lucia per parlarne e noto che, oltre agli
altri inferiori, anche un braccio è paralizzato. Si muove usando un
unico arto ma ciò non gli impedisce di redarguire i più piccoli e
di fare qualsiasi cosa.
Ad un certo punto noto che a qualche
metro da me c'è un giovane in carrozzella che mi fissa: intuisco che
ha anche qualche disturbo mentale e cerco di fare finta di niente,
anche se la cosa non mi lascia tranquillo. Si avvicina e muove le
mani, le batte sulla sedia, sul tavolo ed arriva vicino a me:
continua a guardarmi, non so che fare, capisco che vuole prendermi le
dita ma sono titubante perchè non so cosa abbia in mente. Si mette
in piedi e l'educatore lo mette a sedere, vuole afferrarmi la mano e
stavolta lo lascio fare, facendo attenzione ad ogni suo movimento, e
ci gioco insieme per un paio di minuti, per me interminabili. Dagli
occhi si nota che è contento.
Vedendo tutti questi fanciulli insieme,
circa una trentina, mi sembra di trovarmi davanti ad una grande
famiglia dove tutti vengono accolti, in cui non si dà importanza al
problema di cui sono affetti. Non smetto di pensare che, nonostante
la scena a cui sto assistendo, la vita del personale qui non deve
essere semplice: molti ospiti hanno problemi gravi di salute e, non
essendo agevole arrivare al centro, ciò rappresenta un bel
grattacapo; le crisi emotive ed i capricci di questi fanciulli non
devono essere facili da gestire; il dover affrontare così tante
disabilità tutte insieme con un personale che credo non superi le
cinque o sei unità per turno. Cerco di fare un paragone tra quello
che sto vedendo e il centro in cui lavoro, anche se sembra
improponibile, e non posso che ammirare quello che fanno qui, a volte
mi lamento dei miei ragazzi ma qui i problemi sono molto più grandi
ed apparentemente tutto si affronta con una serenità disarmante.
Continuo a pensare a quanto sto
vedendo, al mio stato d'animo che sembra più tranquillo, mi sento
più a mio agio e non mi rendo conto che è già ora di andare:
portiamo Lucia in infermeria e, all'uscita, ritrovo il ragazzo in
carrozzina che voleva prendermi le mani... Mi guarda e mi viene
spontaneo accarezzargli i capelli e dirgli che ci vedremo la prossima
volta. Non so se mi ha capito ma mi è sembrato sorridesse.
E' stata un'esperienza tosta, a cui mi
capita di ripensarci più volte: mi ha segnato e mi fa capire quanto
lunga possa essere la strada per cercare di appianare qualcuno dei
miei limiti, senza dimenticare però di essere prima di tutto me
stesso davanti a chiunque.
Har baje
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