lunedì 21 novembre 2016

Tra i monti

Un pizzico di riposo non guasta mai e se lo si abbina ad un viaggio tanto meglio! I tre giorni che ho trascorso nei dintorni di Sucre, la capitale della Bolivia, sono stati un vero toccasana: mi hanno rigenerato visto che mi sentivo veramente stanco, privo di energia e di voglia di fare, ed accadeva di commettere degli errori che non erano da me.
Avevo proprio bisogno di stare via per qualche giorno ma ho dovuto rimandare più volte il mio proposito perché c’era sempre qualcosa di improrogabile da fare in hogar: approfittando del fatto che non c’era nulla di particolare in agenda ho potuto finalmente organizzare la mia uscita. Avevo ben in mente cosa andare a vedere, un qualcosa che fosse lontano dalle consuete mete turistiche e che attirasse la mia curiosità e la voglia di fare quattro passi: il cammino preispanico dalle parti di Sucre, associato ad una visita a delle orme di dinosauro ed a delle pitture rupestri. Il viaggio includeva anche la visita al cratere di Maragua e a Potolo, luoghi della cultura Jalq’a.
Definire estremamente affascinanti questi pochi giorni è un eufemismo: oltre a vedere paesaggi che erano un’immensa opera d’arte ho potuto conoscere da vicino la vita della gente delle montagne, tutt’altro che semplice come se lo può intuire subito dai loro volti. Le difficoltà sono molteplici: i mezzi di trasporto scarseggiano per cui ci si sposta a piedi per decine di chilometri affrontando le salite e le discese dei monti, a volte tutt’altro che agevoli; si coltiva facendo uso della propria forza e dei tori; si allevano pecore e capre portandole al pascolo per tutta la giornata; ci si incontra in alcuni piccoli centri nella speranza di scambiare i propri prodotti con altri di cui si ha bisogno; ci si cura attraverso le varie erbe medicinali che crescono nella zona; i bambini a volte devono percorrere grandi distanze per andare a scuola e poi, finiti i compiti, devono dare una mano in casa; ci si adatta e si impara ad arrangiarsi al meglio arrivando, ad esempio, a realizzare i mattoni necessari per costruire. Ora la popolazione locale è alle prese con un problema più grande: la siccità, visto che non piove ed in alcune zone non si può scavare in cerca di acqua perché la pietra è troppo dura. Si tratta di un fenomeno esteso che riguarda gran parte dell’altopiano andino ed anche la città di Sucre, dove alcuni quartieri sono rimasti a secco e ho visto vicino alle fontane lunghe code di gente con vari contenitori in mano in attesa di riempirli per poi tornare a casa. Anch’io, nel mio piccolo, ho vissuto questa situazione: a Maragua, dove ho dormito per due giorni, l’acqua non arrivava nelle case e non ci si poteva lavare, addirittura non era nemmeno possibile tirare lo sciacquone del bagno. Si doveva uscire per riempire i contenitori: nei casi più fortunati bastava percorrere poche centinaia di metri per giungere ad una piccola sorgente d’acqua e riempire delle bottiglie, nella peggiore delle ipotesi si dovevano fare ben cinque chilometri. Non è stato un gran disagio per me visto il poco tempo per cui sono stato lì ma di sicuro lo è per la gente che abita in questa località, visto che vive di agricoltura e non può pensare di coltivare in una simile situazione. Sembra ormai che abbia imparato a conviverci, a stringere i denti sperando che la pioggia arrivi e, se proprio non ce la fa, a malincuore decide di andar via.
I più parlano in quechua, un idioma locale, e contribuiscono a dare un tocco di magia a questi luoghi: andando per sentieri silenziosi, dove gli unici rumori erano il soffio del vento ed il belare delle pecore, e dove non sembrava esserci anima viva ad eccezione del sottoscritto e della mia guida, ecco comparire all’improvviso qualcuno dal nulla con addosso i vestiti tipici della zona che accenna un saluto. Il resto lo fa il paesaggio: splendido, talmente bello da riempirmi il cuore di gioia e di estasi per quanto la natura è stata in grado di creare. Una marea di colori che dipingevano le rocce, sabbie e pietre scolpite dal vento, dal sole e dalla pioggia: sembrava essere dentro chissà quale opera d’arte!
Ammetto che alcuni sentieri non erano facili, camminare a 3500 metri di quota non è una passeggiata ma ogni fatica è stata ampiamente premiata da quanto ho potuto ammirare, per il quale avevo solo parole di stupore e meraviglia e davanti ad esso potevo solamente chinarmi a così tanta bellezza. Mi sono emozionato come un bimbo nel vedere le orme dei dinosauri e toccarle con la mano per constatarne le dimensioni; ho gioito come se stessi tagliando un traguardo nel vedere le pitture rupestri dopo due ore di un cammino a volte impervio; sarei rimasto per ore a guardare col naso all'insù un cielo talmente pieno di stelle che pareva di trovarsi sotto una cascata di luci; ero eccitato nel percorrere un cammino inca, incantato dalla bravura dei suoi costruttori e prigioniero della bellezza del panorama. Sono rimasto colpito nell’apprendere che il sentiero percorso viene ancora usato dai locali per i propri commerci e nello scoprire che, prima degli spagnoli, di qua passavano dei messaggeri che facevano più di 100 chilometri al giorno per mettere in comunicazione le varie zone dell’impero inca. Ho scoperto una cultura particolare come quella Jalq’a, con i suoi tessuti misteriosi in cui si rappresenta tutta la religiosità locale ed ognuno dei quali è unico e diverso dagli altri.
Sono stati tre giorni bellissimi ed intensi in cui ho lasciato da parte l’orologio per godermi quanto avevo intorno ed assaporare quel silenzio utile per ricaricarsi e smaltire tutta la tensione accumulata in questi mesi: forse proprio per questo sono rimasto così tanto affascinato da quanto ho potuto ammirare ed ascoltare grazie alla guida che mi ha accompagnato per tutto il tempo, introducendomi pian piano in questo mondo ed arricchendomi con i suoi aneddoti e le sue storie sui vari luoghi visitati. Ammetto di aver lasciato lì un pezzo di cuore ma non potevo rimanere di più: i bambini mi aspettano!
Har baje

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