Un pizzico di riposo non guasta
mai e se lo si abbina ad un viaggio tanto meglio! I tre giorni che ho trascorso
nei dintorni di Sucre, la capitale della Bolivia, sono stati un vero toccasana:
mi hanno rigenerato visto che mi sentivo veramente stanco, privo di energia e
di voglia di fare, ed accadeva di commettere degli errori che non erano da me.
Avevo proprio bisogno di stare
via per qualche giorno ma ho dovuto rimandare più volte il mio proposito perché
c’era sempre qualcosa di improrogabile da fare in hogar: approfittando del
fatto che non c’era nulla di particolare in agenda ho potuto finalmente organizzare la mia uscita. Avevo ben in mente cosa andare a vedere, un qualcosa
che fosse lontano dalle consuete mete turistiche e che attirasse la mia
curiosità e la voglia di fare quattro passi: il cammino preispanico dalle parti
di Sucre, associato ad una visita a delle orme di dinosauro ed a delle
pitture rupestri. Il viaggio includeva anche la visita al cratere di Maragua e
a Potolo, luoghi della cultura Jalq’a.
Definire estremamente affascinanti
questi pochi giorni è un eufemismo: oltre a vedere paesaggi che erano
un’immensa opera d’arte ho potuto conoscere da vicino la vita della gente delle
montagne, tutt’altro che semplice come se lo può intuire subito dai loro volti. Le
difficoltà sono molteplici: i mezzi di trasporto scarseggiano per cui ci si
sposta a piedi per decine di chilometri affrontando le salite e le discese dei
monti, a volte tutt’altro che agevoli; si coltiva facendo uso della propria
forza e dei tori; si allevano pecore e capre portandole al pascolo per tutta
la giornata; ci si incontra in alcuni piccoli centri nella speranza di
scambiare i propri prodotti con altri di cui si ha bisogno; ci si cura
attraverso le varie erbe medicinali che crescono nella zona; i bambini a volte
devono percorrere grandi distanze per andare a scuola e poi, finiti i compiti,
devono dare una mano in casa; ci si adatta e si impara ad arrangiarsi al meglio
arrivando, ad esempio, a realizzare i mattoni necessari per costruire. Ora la
popolazione locale è alle prese con un problema più grande: la siccità, visto
che non piove ed in alcune zone non si può scavare in cerca di acqua perché la
pietra è troppo dura. Si tratta di un fenomeno esteso che riguarda gran parte
dell’altopiano andino ed anche la città di Sucre, dove alcuni quartieri sono
rimasti a secco e ho visto vicino alle fontane lunghe code di gente con vari
contenitori in mano in attesa di riempirli per poi tornare a casa. Anch’io, nel
mio piccolo, ho vissuto questa situazione: a Maragua, dove ho dormito per due
giorni, l’acqua non arrivava nelle case e non ci si poteva lavare, addirittura non
era nemmeno possibile tirare lo sciacquone del bagno. Si doveva uscire per
riempire i contenitori: nei casi più fortunati bastava percorrere poche
centinaia di metri per giungere ad una piccola sorgente d’acqua e riempire
delle bottiglie, nella peggiore delle ipotesi si dovevano fare ben cinque
chilometri. Non è stato un gran disagio per me visto il poco tempo per cui sono
stato lì ma di sicuro lo è per la gente che abita in questa località, visto che
vive di agricoltura e non può pensare di coltivare in una simile situazione.
Sembra ormai che abbia imparato a conviverci, a stringere i denti sperando che
la pioggia arrivi e, se proprio non ce la fa, a malincuore decide di andar via.
I più parlano in quechua, un
idioma locale, e contribuiscono a dare un tocco di magia a questi luoghi:
andando per sentieri silenziosi, dove gli unici rumori erano il soffio del vento
ed il belare delle pecore, e dove non sembrava esserci anima viva ad eccezione
del sottoscritto e della mia guida, ecco comparire all’improvviso qualcuno dal
nulla con addosso i vestiti tipici della zona che accenna un saluto. Il resto
lo fa il paesaggio: splendido, talmente bello da riempirmi il cuore di gioia e
di estasi per quanto la natura è stata in grado di creare. Una marea di colori
che dipingevano le rocce, sabbie e pietre scolpite dal vento, dal sole e dalla
pioggia: sembrava essere dentro chissà quale opera d’arte!
Ammetto che alcuni sentieri non
erano facili, camminare a 3500 metri di quota non è una passeggiata ma ogni
fatica è stata ampiamente premiata da quanto ho potuto ammirare, per il quale
avevo solo parole di stupore e meraviglia e davanti ad esso potevo solamente
chinarmi a così tanta bellezza. Mi sono emozionato come un bimbo nel vedere le
orme dei dinosauri e toccarle con la mano per constatarne le dimensioni; ho gioito
come se stessi tagliando un traguardo nel vedere le pitture rupestri dopo due
ore di un cammino a volte impervio; sarei rimasto per ore a guardare col naso all'insù un
cielo talmente pieno di stelle che pareva di trovarsi sotto una cascata di
luci; ero eccitato nel percorrere un cammino inca, incantato dalla bravura dei
suoi costruttori e prigioniero della bellezza del panorama. Sono rimasto
colpito nell’apprendere che il sentiero percorso viene ancora usato dai locali
per i propri commerci e nello scoprire che, prima degli spagnoli, di qua
passavano dei messaggeri che facevano più di 100 chilometri al giorno per
mettere in comunicazione le varie zone dell’impero inca. Ho scoperto una
cultura particolare come quella Jalq’a, con i suoi tessuti misteriosi in cui si
rappresenta tutta la religiosità locale ed ognuno dei quali è unico e diverso
dagli altri.
Sono stati tre giorni bellissimi
ed intensi in cui ho lasciato da parte l’orologio per godermi quanto avevo
intorno ed assaporare quel silenzio utile per ricaricarsi e smaltire tutta la
tensione accumulata in questi mesi: forse proprio per questo sono rimasto così
tanto affascinato da quanto ho potuto ammirare ed ascoltare grazie alla guida
che mi ha accompagnato per tutto il tempo, introducendomi pian piano in questo
mondo ed arricchendomi con i suoi aneddoti e le sue storie sui vari luoghi
visitati. Ammetto di aver lasciato lì un pezzo di cuore ma non potevo rimanere
di più: i bambini mi aspettano!
Har baje
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