Sabato ho avuto l’ennesimo incontro ravvicinato con la
sanità boliviana: ho dovuto portare d’urgenza alla cassa di salute uno dei
ragazzi più grandi, in preda a un forte dolore allo stomaco che lo faceva
contorcere di continuo.
Tutto inizia quando mi dicono che a D. gli fa male la pancia
ed io gli rispondo di avvisare Sandra, l’addetta all’infermeria, visto che era
in hogar. Non passano cinque minuti e vedo don Claudio, che stava venendo verso
di me, voltarsi ed iniziare a correre: non ci penso nemmeno due volte, lascio
quello che stavo facendo e mi dirigo velocemente nella stessa direzione del
nostro multifunzionale. Mi allarmo di quanto vedo: il ragazzo è sollevato da un
muratore che sta facendo dei lavori nel centro e da un educatrice, si dimena e
grida per quanto soffre… Non ci penso nemmeno un secondo, aiuto a portarlo in
infermeria prendendolo per le gambe mentre scorgo Sandra precipitarsi ad aprire
la porta: lo mettiamo nel lettino, cerchiamo di somministrargli qualcosa che possa
aiutarlo ma è troppo agitato, continua a contorcersi e la decisione è quella di
portarlo all’ambulatorio qui vicino o all’ospedale.
Lo carichiamo nella camionetta, con qualche difficoltà visto
che non smette di dimenarsi e mi supplica, urlando, “Marco aiutami!” e “Fate
presto, mi fa troppo male!”. Partiamo con Sandra che cerca di tranquillizzarlo,
senza alcun risultato, e quando arriviamo al poliambulatorio scopriamo che è
chiuso… L’unica soluzione è dirigersi alla cassa nazionale di salute, per
intenderci un ospedale, che dista circa 10 chilometri: la sfortuna ci
accompagna visto che becchiamo rosso ad ogni semaforo e rimaniamo bloccati
nel traffico. Nel frattempo D. continua a urlare per il dolore, non riesce a
star fermo e comincia a vomitare. Sono preoccupato, non ho mi visto uno star
male così e, mentre guido, aiuto Sandra a farlo parlare in modo che non perda
conoscenza.
Dopo circa una quarantina di minuti arriviamo a
destinazione, scendo dal veicolo e chiedo ad un poliziotto di aiutarmi a far
scendere il fanciullo perché non riesce a muoversi e sta per svenire. Mi
risponde che mi sono fermato nel posto sbagliato, che devo andare al pronto
soccorso e, per accedervi, devo fare il giro dell’isolato…. Poco male, faccio
quanto mi ha detto e, all'entrata, chiedo di aprirmi il cancello perché non
riesco a portare in braccio uno di 14 anni privo di sensi. Parcheggio mentre
Sandra va allo sportello per dire il motivo per cui siamo lì, nel frattempo D. sviene così cerco una barella e due guardie mi aiutano a caricarlo
sopra.
Il ragazzo riprende i sensi e comincia nuovamente a gridare
che gli fa male da morire lo stomaco, i medici gli somministrano un calmante e
lo mettono in una stanza. E’ mezzogiorno passato e stanno facendo
disinfestazione per le zanzare per cui le prime analisi per fare una diagnosi
sono fissate per le 14.30. Non resta che aspettare e andare di tanto in tanto a
rassicurarsi che D. cominci a stare meglio. Col passare delle ore mi chiedo cosa
può essere successo perché l’adolescente, prima che cominciasse a star male, mi
aveva aiutato e l’ho dovuto richiamare perché per più volte si era arrampicato
su un albero, per cui non c’era stato nessun sintomo che presagisse quanto
accaduto. Non riesco a non essere preoccupato ed il non sapere niente sta iniziando ad innervosirmi.
Visto che Sandra è l’addetta all'infermeria, è lei che va a vedere più volte il fanciullo e a provare a parlare coi medici mentre io lo faccio in una sola occasione, giusto il tempo per strappargli un sorriso ed aiutarlo a bere un bicchiere d'acqua. Una volta
avuti i primi risultati alle 18 gli fanno un’ecografia: rimango un po’ stupito perché
per me era una delle prime cose da fare e non bisognava aspettare 6 ore per
arrivare a questa conclusione… C’è un po’ di movimento intorno a lui e siamo
allarmati ma non ci vogliono dire niente perché devono aspettare il primario
che valuti il loro operato! Manca poco alle 20 e non sappiamo ancora niente: telefono
a Liliana per avvertirla, anche se questo fine settimana si trova in viaggio, e
per farmi consigliare sul da farsi. Sandra va a vedere se i risultati dell’urina
sono pronti e proprio in quel momento ci chiamano. Non mi resta che andare da
solo: una volta entrato nella sala dove si trova ricoverato il ragazzo mi
dicono che devono operarlo d’urgenza perché dall'ecografia risulta avere un’appendicite
molto grave e complicata da rimuovere. Vado a cercare Sandra e la informo, si
firmano i documenti necessari per autorizzare l’intervento e si va a prendere
quanto occorre al chirurgo. Nel frattempo Liliana ci contatta e dice che ha informato
il padre del giovane, che verrà a sostituirci ed a passare la notte col figlio.
Sono quasi le 21, chiamo il guardiano notturno per avvisarlo che non so quando
ritorno al centro e di rassicurare i fratelli che D. sta bene, anche se dovrà
andare sotto i ferri. Nel frattempo l’operazione ha inizio e quando arriva il
papà non è ancora finita: una volta informato di tutto, torno all’hogar. Sono
le 23 passate, sento tutta la stanchezza di quelle ore passate in attesa che
qualcuno mi dicesse qualcosa però non riesco a dormire, i miei pensieri e le
mie preoccupazioni vanno per quel ragazzo che ho lasciato in sala chirurgica.
Domenica mattina chiamo il padre di D. e mi dice che l’intervento
si è concluso dopo la mezzanotte e il giovane sta bene. Informo i suoi due
fratelli e non c’è nessuno che non mi chieda come stia. Decido di andargli a
fare visita, atto doveroso in quanto responsabile dell’hogar in mancanza di
Liliana ma soprattutto perché suo amico. Una volta giunto all’ospedale, mi
dirigo al quarto piano dove l’avevano portato: lì mi dicono che non c’è e di
andare al pronto intervento. Anche lì non lo trovo, vado quindi all’ufficio informazioni
per sapere dove lo posso trovare: la risposta è al quarto piano, letto 104. Con
questi dati ritorno al piano interessato e gli dico che chi sto cercando è
proprio lì: l’infermiera, un po’ scocciata, mi fa entrare dicendo di cercarlo
tra i vari letti che sono in corridoio, visto che stanno facendo
disinfestazione, e che se non lo trovo lei non può farci niente. Cammino tra i
vari pazienti fino ad incontrarlo: non ha molta voglia di parlare, gli hanno
messo tre tubi di cui uno nella punta del naso, però confessa che non si
ricorda granchè il motivo per cui era lì e con dispiacere ha scoperto che gli
hanno tagliato la pancia. Gli spiego per filo e per segno tutto l’accaduto e mi
risponde che ha fame, purtroppo però anche per oggi il dottore ha detto che non
può mangiare! Mi congedo da lui contento di averlo visto e soprattutto sincerandomi
del fatto che stia meglio.
Il racconto non finisce qui: oggi ho saputo che D. non è
stato operato all’appendicite ma per una perforazione dell’intestino! Il peggio
è che non ho altre notizie perché non ci fanno parlare col primario, o meglio,
per parlare con lui bisognerebbe entrare nel reparto dove sta il ragazzo in un orario
in cui è proibita qualsiasi visita ed i poliziotti non fanno entrare nessuno:
un'assurdità! La sola certezza è che il ragazzo dovrà tornare in hogar e non
potrà andare in vacanza dalla sua famiglia come i suoi due fratelli e qualche suo amico: questo per dargli maggior assistenza in modo che si rimetta al
meglio. Una misura difficile da prendere, anche perchè l'interessato non vedeva l'ora di andare a casa per qualche giorno, ma necessaria per il suo bene.
Har baje
Sono davvero senza parole. ...ma come si fa a combattere con questa situazione? ....
RispondiEliminaIl Signore ti dia la forza di non mollare!
Antonella, san Nicolò, mira