Quest’anno le vacanze invernali, ormai agli sgoccioli, mi
hanno permesso di spadellare in cucina in più occasioni: in questo periodo è
tutto un po’ più semplice visto il numero esiguo (28) di ragazzi rimasti nel
centro.
Perché ho deciso di mettermi ai fornelli? Prima di tutto per
offrire un piatto caldo per la cena ai fanciulli, visto che non abbiamo una
cuoca per la sera. La seconda ragione è la voglia di far provare qualcosa di
nuovo, di far mangiare qualcosa di particolare, di diverso dal solito a chi non
ha avuto la possibilità di stare via per due settimane. Le chiacchere e le
risate con i miei piccoli aiutanti in cucina, che permettono di conoscerci
meglio e di creare una cera complicità, rappresentano un altro valido motivo di
questa mia scelta.
Stavolta non mi sono fermato alla solita pizza, anche se è
la più gettonata fra le richieste dei ragazzi: questa è stata solo una delle
ultime cose che ho fatto, la precedenza è stata quella di fare un piatto
tipicamente boliviano, sfruttando quanto avevo appreso in un corso fatto
assieme ai bambini qui in hogar, e gli gnocchi. Sono state cose un po’
impegnative, soprattutto visto il numero delle persone che le avrebbero
mangiate, ma devo ringraziare i fanciulli che di volta in volta si sono avvicendati per aiutarmi!
Sono stati bravi in quanto cercavano di seguire le mie istruzioni, spesso mi
chiamavano per avere conferma se andava bene quello che stavano facendo e mi
correggevano quando mi stavo dimenticando qualcosa. Non ho escluso nessuno:
persino i più piccoli sono venuti a darmi una mano, ho dato loro dei compiti
consoni alla loro età perché tutti potessero sentirsi importanti ed utili e
dire di aver contribuito al risultato finale. La loro soddisfazione più grande
è vantarsi di avermi aiutato, perché negargliela?
La cosa che mi ha reso più contento non è il sentirsi dire
grazie da ogni singolo fanciullo per aver cucinato per lui o perché ha mangiato
qualcosa di veramente buono, ma il fatto di sentirli mangiare in silenzio, cosa
che difficilmente succede: significa che veramente stanno apprezzando il piatto
che si trovano davanti e stanno gustando ogni singolo boccone. Ho poi in mente un'altra
scena: visto che era avanzato qualcosa, ho chiesto chi volesse fare il bis e tutti
alzavano la mano, persino Bautista che di solito non riesce mai a finire e per
ben due volte ha preteso che gli venisse dato qualcosa in più da mangiare…
Questa sì che si chiama soddisfazione! Sono stati momenti importanti, di quelli
che mi gratificano e mi fanno dire che ne è valsa la pena cucinare per
quattro/cinque ore perché capisco che i miei piccoli amici hanno apprezzato in
pieno quanto ho fatto per loro, spinto da quello che credo sia il segreto di
questi miei piccoli successi culinari: l’amore!
Har baje
Bravo marco!è davvero bello cucinare per gli altri,significa accudirli, prendersene cura,è questo il messaggio che è passato attraverso il cibo,la cura e l'amore che hai per loro!
RispondiEliminaAntonella, san Nicolò, mira