domenica 15 marzo 2015

Per la città

Quest’anno ho cambiato il giorno in cui stacco un po’ la spina dalla quotidianità dell’hogar: dal mercoledì sono passato al giovedì e ne approfitto per fare un giro per Santa Cruz.
Di solito parcheggio a due/tre chilometri dal centro per evitare il traffico e, complice il fatto che mi piace camminare, faccio una lunga passeggiata per le strade e le viuzze della città scoprendo così sempre cose nuove o dei dettagli che in precedenza mi erano fuggiti. La cosa che più mi affascina è passare per i mercati che sono immensi, rimangono aperti tutti i giorni e ci si può trovare di tutto: di solito mi reco a quello chiamato “Los Pozos”, il più vicino e più facile da raggiungere. Qui ci sono bancarelle che traboccano di indumenti, scarpe, zaini e danno l’idea che possano scoppiare da un momento all’altro; ci sono banchi coloratissimi e zeppi di verdura e frutta di ogni tipo e dimensione che richiamano la mia attenzione e mi fanno venire l’acquolina in bocca; si vedono i macellai che vendono la carne appendendola a bastoni e lasciandola all'aria aperta ed al sole; c’è chi vende dolci e pane in enormi ceste; non si contano gli espositori dove vengono offerti film e musica scaricati da internet; c’è chi vende animali vivi e non mancano i posti dove si possono comprare le foglie di coca, destinate alla masticazione: il tutto è immerso dai mille odori che affiorano dalle pentole dei punti dove vendono da mangiare, che sono disseminati ovunque ed è difficile darne un numero preciso. Il passarci mi attrae perché penso che qui posso capire molte cose sulla vita quotidiana di Santa Cruz: i prezzi sono molto più bassi rispetto che al supermercato per cui c’è la possibilità di imbattersi con i più poveri ma anche con chi sta bene. Ci si può incrociare con chi rovista nella spazzatura per cercare qualcosa di cui sfamarsi o, semplicemente, che si potrebbe rivendere una volta sistemata e si possono ascoltare le tante trattative fra i venditori e chi cerca di tirare sul prezzo; si vedono i menoniti, un gruppo etnico simile agli Amish che viene dalla Germania e dagli Stati Uniti ed è molto chiuso, che vengono a vendere i loro prodotti agricoli ed a comprare ciò che necessitano.
Nel mio camminare non posso non notare come gli edifici siano fatiscenti ma, man mano che ci si avvicina alla piazza principale, non sono dissimili a quelli dei nostri paesi: si vedono negozi di marche famose e mi chiedo in quanti possano permettersi di entrarci per fare acquisti. Non manca chi chiede l’elemosina, accompagnato da più di un bambino al massimo di 6 anni, e vedo che molti passano senza degnarli di uno sguardo. Capita di imbattersi anche in qualche barbone, in gente che vive in strada: si riconoscono perché stanno dormendo su un cartone o se lo stanno portando dietro, l’aspetto trasandato ed i piedi solitamente scalzi e nerissimi… Non una bella immagine e spesso quando li vedo mi faccio mille domande, è come se mi sentissi in colpa per la loro situazione.
L’altro giorno tornando dove avevo parcheggiato la camionetta, a nemmeno un chilometro dalla piazza centrale, mi imbatto in una scena che ancora adesso mi turba: tre ragazzi, probabilmente fratelli, stavano dormendo su dei cartoni vicino ad un ristorante in restauro, il più grande avrà avuto 12 anni. Si notava che non si lavavano da molto, i vestiti erano sudici ed il più piccolo era raggomitolato tra gli altri due, forse in cerca di protezione: avevano l’aspetto di chi ne aveva viste di tutti i colori e ho intravisto una lunga cicatrice sul volto del maggiore. Qualcosa mi diceva di fotografarli per darne testimonianza, per mostrare come certi giovani boliviani sono costretti a vivere ma non ne ho avuto la forza o meglio il coraggio: come potevo farlo? So che le immagini molte volte valgono più di mille parole ma forse ho troppe remore a riguardo, non vedevo alcun segno di dignità in quello che avevo davanti agli occhi… Semplicemente credo che se fossi stato al loro posto non è che sarei stato contento che qualcuno mi immortalasse in uno scatto: forse mi sarei arrabbiato, forse avrei reagito male perché non vorrei farmi vedere in quello stato.
Nel tornare a casa non riuscivo a dimenticare quanto visto, quell’immagine mi tormentava: sarà forse il fatto di vivere in un hogar che mi spingeva a chiedermi il perché quei fanciulli si trovassero lì… Erano scappati di casa? Per quale motivo? Forse per fuggire dalla violenza domestica? Oppure erano fuggiti da un centro di accoglienza perché era più facile vivere in strada senza alcuna regola o perché non c’era stato nessuno in grado di ascoltarli? Non avevano proprio nessuno che si potesse occupare di loro? Che ne sarà di loro? Quanti si trovano nella loro stessa situazione? E’ possibile far qualcosa per loro? Mi pentivo sul fatto di non essermi fermato aspettando che si destassero: molto probabilmente non sarebbe successo nulla, ognuno sarebbe andato per la propria strada, oppure in qualche modo il nostro incontro sarebbe stato utile per ciascuno… Mi sono limitato a fissarli per qualche istante, indeciso se fotografarli o meno, pensando che stavolta è meglio raccontare quanto visto piuttosto che lasciare spazio ad un'immagine.
Har baje

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