Leggo il messaggio del Papa per la
giornata missionaria mondiale: ogni parola la sento mia, mi strappa
un sorriso, suscita in me tanti ricordi e mi parla, in parte riassume
la mia esperienza e dall'altra mi interroga, mi spinge a pormi delle
domande, a chiedermi quanto ancora è lunga la strada che ho
intrapreso e se sono ancora disposto a percorrerla.
Torno più volte sulle parole “Che
cosa farebbe Cristo al mio posto?”: una domanda che Papa Francesco
ci invita a porci e, guarda caso, è la stessa che mi ripeto non so
quante volte nell'arco della giornata mentre mi occupo dei miei
ragazzi. La risposta è sempre la stessa: amare, mettendoci tutto me
stesso anche se è magari posso risultare un po' impacciato o rimango
frastornato da quanto mi ritrovo a vivere, con la consapevolezza di
non essere solo e sicuro del fatto che Lui sta guidando i miei passi,
mi usa come Suo strumento per i suoi meravigliosi progetti. Non è
semplice, tutt'altro: non conto le occasioni in cui mi sono ritrovato
in situazioni che mai avrei pensato di vivere, in cui mi sono trovato
davanti a cose talmente orrende da non credere che fossero vere ed a
problemi che non erano miei ma lo sono diventati mentre la paura, la
voglia di voltarmi dall'altra parte o di dire “no, questo non mi
riguarda” fanno sentire forte la loro voce dentro la mia testa. Non è
facile vedere bambini piangere o sentirgli dire che gli manca la
mamma o che sono stati violentati, provo rabbia ed impotenza nel
vedere i segni delle botte che hanno ricevuto in casa: mi dico che
non è giusto e mi verrebbe voglia di andarmene perchè mi trovo
davanti cose troppo più grandi di me e non credo di essere così
forte per affrontarle.
Sono soltanto dei piccoli occhi
impauriti, sguardi che nascondono una profonda tristezza ma anche un
profondo bisogno di affetto che mi trattengono e mi hanno fatto
capire che qui, a migliaia di chilometri di distanza da dove sono
nato e vissuto, sono stato chiamato ad amare: mai mi era passato per
la testa che un giorno mi sarei preso cura di una sessantina di fanciulli, di
cucinare per loro, di coccolarli e di dargli consigli ed è proprio
quello che ora sto facendo, è la forma che Dio ha pensato per farmi
rispondere alla sua chiamata ad amare, che è diversa da quella di
qualunque altro.
Chi mi conosce sa che decidere di
mollare tutto e venire in Bolivia non è stata una passeggiata ma qui
ho trovato un entusiasmo ed una gioia mai sperimentati prima, poco
importa se alla sera quasi mi addormento davanti alla cena o al
computer dopo una giornata intensa, fatta di tanti imprevisti e molti
problemi. Sentirsi dire da Estela “Marco, eres mi familia”,
quando Bautista mi viene incontro e stringe forte la mia mano, i
tanti sorrisi che mi vengono regalati mi riempiono il cuore e sono il
motore che mi spinge a continuare, ad andare avanti anche quando le
cose non vanno per il verso giusto. Le preoccupazioni le lascio in
disparte in quanto so che la Provvidenza mi verrà in soccorso quando
non saprò che pesci pigliare, guiderà la mia mano quando non avrò la più pallida idea di che fare perchè all'amore non è possibile mettere limiti: se
io sono un suo strumento per cosa dovrei stare in pensiero? Come dice
Papa Francesco devo soltanto rispettare una condizione: donare me
stesso altrimenti nulla va a funzionare se non metto del mio, è inutile
che pretendo alcune cose dai ragazzi se non sono il primo a farle con
convinzione, non posso costruire un rapporto di fiducia se non
esprimo le mie emozioni, il mio stato d'animo agli altri ogni
giorno... Amore è soprattutto dare qualcosa di mio all'altro come
Gesù ha fatto con noi, dando la sua vita perchè noi la potessimo
avere: certo non ci viene chiesto di morire sulla croce ma di
condividere quello che possediamo ed abbiamo la fortuna di avere, specie con chi ne ha più bisogno. Rispondere a tale
richiesta non è poi così difficile perchè, come dice il Papa,
“nessuno è così povero da non potere dare ciò che ha, ma prima
ancora ciò che è”: basta aprire le porte del proprio cuore con la
consapevolezza che c'è molta gente che ha bisogno di noi ed è la
ragione per cui siamo in questo mondo.
Har baje
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