Son passati tre giorni ma ancora ho
negli occhi quanto ho potuto vedere, incredulo per quanto stava
davanti a me e dubbioso sul fatto che sia stato tutto reale o soltanto un
brutto sogno: in passato mi era già capitato di vedere gente in
situazione di miseria ma credo che questa esperienza le supera tutte.
Sto ancora riflettendo, cercando di assimilare quanto mi si è
presentato di fronte e per la testa si ripetono sempre le stesse
domande: com'è possibile che al mondo d'oggi esistano ancora queste
situazioni? Quanta strada ancora si deve percorrere per evitare che
gente viva in baracche di fortuna? Perchè chi dovrebbe e potrebbe far
qualcosa non lo fa? Non ci sono risposte, posso solamente
pensare se e come posso fare qualcosa davanti a così tanta povertà.
Devo ringraziare Liliana e Luis, suo
marito, per avermi dato la possibilità di conoscere questa triste
realtà: pian piano mi hanno spinto affinchè decidessi di fare
questo passo, importante per la mia crescita. Ammetto che il loro
progetto di fare un gruppo missionario che si dedica ai più
sfortunati mi ha sempre incuriosito e sono contento di potergli dare
una mano, come è capitato l'anno scorso aiutando a selezionare i
vestiti che vengono donati al centro e che per la taglia non possono
essere utilizzati dai ragazzi e dando loro alcuni viveri che l'hogar
aveva in abbondanza e avrebbero rischiato di andare a male in quanto
non utilizzati. Vedere le immagini dell'esperienza dell'anno passato,
sentire le loro parole piene di entusiasmo e la loro convinzione che
è un loro dovere aiutare quelle persone ha mosso qualcosa dentro di
me, oltre ad accendere una forte curiosità: è così che, venuto a
conoscenza che questo mese sarebbero ripartiti alle volte di quei
posti dove c'erano molti bisognosi, non mi sono tirato indietro ed ho
racimolato tutto quello che ai ragazzi non sarebbe servito ma lì
sicuramente sì. Con Liliana si è pensato di caricare nel camion
usato per la missione i vecchi letti che abbiamo sostituito perchè,
sebbene malconci, sarebbero stati utili così come qualche materasso,
qui inutilizzati perchè troppo fini, a cui si sono aggiunti sacchi
di indumenti che erano per bambini sotto i 5 anni o per adulti e
qualche vivere: tutto questo
dicendo ai fanciulli che dovevamo condividere queste cose perchè
riceviamo molto gratuitamente ed è giusto darlo anche a chi non ha questa
fortuna.
Sentivo però che mancava qualcosa:
dovevo visitare la realtà di cui Liliana e Luis mi avevano parlato sia
perchè una voce, che mi ronzava per la testa, mi diceva di farlo che
per il fatto che un po' mi sentivo come San Tommaso, non ci avrei creduto fino in fondo se non l'avessi visto di persona . C'era solo un
piccolo dettaglio ad intralciare il mio proposito: non potevo
allontanarmi dal centro se Liliana fosse stata assente, per il fatto
che almeno uno dei due deve essere presente in hogar nel
malaugurato caso fosse successo qualcosa di brutto. Fortuna vuole che
Luis voleva fare un sopralluogo prima dei tre giorni di missione che
aveva programmato, visto che al suo gruppo si sarebbero aggiunti 15
medici di Portorico e non voleva lasciare nulla al caso, e subito mi
sono offerto di accompagnarlo.
La partenza è stata alle 4 per evitare
il traffico e perchè per arrivare alla gente che si voleva aiutare
ci vogliono all'incirca 3 ore di macchina, che ho ben sfruttato per conoscere la
storia e le motivazioni che spingono i miei due amici boliviani a
fare questo. Ad un certo punto lasciamo la strada principale e
facciamo 30 chilometri di sterrato, in alcuni punti è quasi
difficile passare, e avvistiamo i primi abitanti del luogo: quando
Luis si ferma, mi trovo davanti ad un tetto sorretto da quattro pali
con sotto un tavolino che a malapena sta in piedi e qualche sedia
scassata. C'è immondizia dappertutto e ci sono due case di fango
sorrette da bastoni. Di fronte a me trovo due persone che penso
abbiano più di cinquant'anni, una donna più giovane e la
figlioletta di nemmeno due anni: i vestiti sono sudici, rattoppati.
Ci offrono la loro colazione: acqua calda con bucce di arancia,
scaldata sul fuoco in una pentola nerissima e piena di ammaccature e
servita su una tazza di plastica un poco deformata, e condividono la
borsa di pane che Luis gli ha appena regalato. Mentre parlano mi
guardo in giro, mi avvicino alle case e noto la mancanza di luce
elettrica; non usano nemmeno i bomboloni di gas per cucinare,
soltanto rami secchi. Noto un rubinetto e mi viene spiegato che
grazie ai portoricani si è riusciti a realizzare una rete idrica che
porta l'acqua ad ogni casa della comunità attraverso una pompa
collegata ad un pozzo: prima la comunità utilizzava uno stagno lì
vicino per bere e lavarsi e grazie a questo aiuto un leggero
miglioramento c'è stato.
Ad un certo punto Luis mi dice di
salire in auto perchè andiamo da Antonio, l'angelo (così lo
definisce) che l'ha portato a fin qui. Facciamo qualche centinaio di
metri e quello che si apre davanti a me è un colpo al cuore:
tantissimi bambini sotto una specie di capannone con un tetto di
stracci, sotto il quale c'è una pentola sul fuoco. Scendiamo e sono
attorniato da tanti piccoli occhi neri diffidenti, con i capelli
insudiciati, vestiti rattoppati e impolverati, visi sporchi... Mi
accorgo che qualcuno non ha niente ai piedi che sembrano come sporchi di fango, peccato che lì non pioveva da settimane! In quegli attimi
non ho dubbi: dal mio zaino tiro fuori un pacco di biscotti e
comincio a distribuirli, non so per quale miracolo ma riesco a darli a tutti quei pargoli che ho davanti... Me ne cade qualcuno
per terra, l'afferrano subito e se lo mettono direttamente alla bocca, suscitando in me un senso di disgusto. Noto le
loro mani, nerissime come se non fossero mai state lavate prima; non posso
non osservare le loro maglie piene di buchi e sporche che vengono
usate come contenitori dei dolci che sto ripartendo Con mio immenso
stupore hanno terminato di mangiarli in pochi attimi e poi mi
accompagnano a vedere dove abitano: all'inizio sono stato riluttante
perchè non volevo offendere la loro dignità in alcun modo
curiosando nei luoghi dove dormono e passano tutta la giornata.
Non posso definire baracche le loro
dimore perchè sono molto peggio: le loro pareti sono fatte di
qualche palo di legno e tende di camion; i tetti se va bene sono in
lamiera con qualche sasso in cima per evitare che il vento li porti
via; non ci sono armadi, tutto è appeso non si sa come o è sopra a
delle tavole di legno sostenute da qualche ramo che costituiscono il
letto mentre è la terra che fa da pavimento. Ho un groppo in gola,
non ho mai visto così tanta miseria neanche nel villaggio di Ignacio
Warnes, che si trova vicino all'hogar e che ho citato in passato, però noto come la
gente abbia una certa dignità, è contenta di vederti
perchè sa che a differenza di altri la sua situazione ti interessa.
Conosco Antonio ed è buffo che subito abbia voluto fare una foto con
me, come se fossi un vecchio amico che non vedeva da un po'. Diamo un
passaggio a lui ed ad altre due persone della comunità e durante i
primi metri del tragitto mi accorgo che tutte le abitazioni della
zona versano nelle medesime situazioni che ho appena potuto
osservare. Pian piano nell'auto comincia a diffondersi un certo
odore, io e Luis ci diamo un occhiata e ci rendiamo conto che sono i
nostri amici: è intenso, non so come descriverlo, è come un misto
tra sudore, polvere e qualcosa che è andato a male. Non diciamo
niente, almeno io non voglio mettere a disagio nessuno anche se
all'inizio è davvero insopportabile poi pian piano mi abituo: l'ho ribattezzato
l'odore della povertà, quello che si arriva ad avere quando non puoi
permetterti di lavarti, di pulire, quando tutto quello che noi diamo
per scontato non puoi averlo; quello che non ti fa dormire la notte e
provoca rimorsi della coscienza, almeno per me; quello che mi fa dire
che è ora di dire basta, di cominciare ad imboccarsi le maniche
perchè nessuno merita di vivere nelle condizioni che ho visto.
Successivamente ho la possibilità di
vedere altre comunità: qualcuna è messa meglio, cominciano ad
apparire case fatte con mattoni anche se ancora sono una rarità e la maggior parte è fatta di fango e sostenute da bastoni, con porte
arrugginite o scassate; c'è più pulizia in giro ma poi incontro la
gente del luogo e mi accorgo che forse era soltanto un'impressione e
la realtà è molto peggio di quanto pensassi.
Ritorniamo a Santa Cruz ma non riesco a
dimenticare quelle mani sporche, quella gente che vive in quelle
condizioni, non posso non pensarci. Arriviamo in prossimità di uno
dei tanti anelli che caratterizza la città e noto tanti giovani che
dormono nei canali delle fognature e sotto i ponti: sapevo di questa
realtà ma in quel momento avverto che qualcuno mi sta dando
nuovamente dei messaggi di cui ancora non riesco a cogliere il significato, l'unica cosa certa è che quanto sto vedendo è solo un altro dei tanti modi in cui si
manifesta la povertà. C'è tanto lavoro da fare, mi dico, e non si
sa da dove cominciare: forse è bene partire ricordandosi di
quell'odore insopportabile che nessuno al mondo dovrebbe mai avere.
Har baje
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