Il giovedì mi concedo un po’ di riposo e di solito vado in
città per fare una passeggiata e cercare di prendere fiato dalle preoccupazioni
quotidiane per i ragazzi: spesso ci riesco e ritorno a casa bello carico, altre
volte invece vengo all’hogar con più domande e con sentimenti contrastanti.
Ammetto che, negli ultimi tempi, quest’ultime hanno preso il
sopravvento e sembrano lanciarmi un messaggio: i protagonisti son sempre loro,
le persone che vivono in strada e che le trovi o a chiedere l’elemosina o a
dormire sotto dei cartoni o degli stracci. Le riconosco subito: aspetto
trasandato, vestiti sudici, piedi spesso scalzi e neri per lo sporco, barba
incolta e capelli unti, le poche volte che ho incrociato il loro sguardo ho
scorto degli occhi spenti e tristi. Dormono su giacigli improvvisati, sacchi
pieni di paglia o di spazzatura, materassi rotti e si tappano con ciò che gli è
possibile. Con il primo freddo alcuni si sono costruiti un riparo di fortuna
con ciò che gli capitava a tiro, altri preferiscono dormire dentro le casette
in cui si trovano gli sportelli automatici mentre c’è chi preferisce rifugiarsi
nelle fogne. Tra loro ci sono molti giovani e non mancano i disabili. Secondo quanto
mi dice un mio conoscente, che li vede ogni giorno perché stazionano nelle
panchine di fronte al suo negozio, spesso si drogano e per trovare i soldi per
la loro dose quotidiana arrivano a prostituirsi e capita che spariscano, magari
qualcuno riappare dopo qualche giorno mentre altri non si faranno più vivi,
probabilmente perché rimasti vittime del traffico di organi.
Mi è capitato più di una volta di vederne sdraiati per terra
con uno sguardo assente e privi di sensi, forse perché si erano appena fatti o
non avevano più la forza di reggersi in piedi, e quello che mi colpiva era il
fatto che la gente gli passa accanto come se non ci fossero, non viene colpita
da una simile visione mentre io rimango lì impietrito, quasi attratto da quanto
vedo, e mi chiedo cosa potrei fare, salvo poi andarmene bloccato più dalla
paura che da altro. Queste occasioni però non sono niente rispetto a quanto ho
potuto vivere in prima persona oggi, un qualcosa che per certi versi mi ha
sconvolto e non riesco a togliermi dalla testa.
In tarda mattinata stavo camminando per la zona degli
ospedali quando ecco che guardo dall’altra parte della strada e mi accorgo che
c’è un ragazzo, con i piedi nudi, che sta rovistando in un cestino e si mette
in bocca quello che sembra un rifiuto… Resto inorridito e d’istinto distolgo lo
sguardo e cerco di allontanarmi ma qualcosa mi dice di voltarmi: lo faccio ed
incrocio il suo sguardo. Mi sembra di riconoscerlo, anzi ne ho quasi la
certezza: è Gesù che mi chiede di dargli da mangiare, non posso dirgli di no.
Mi avvicino al giovane e gli chiedo timidamente, guardandolo negli occhi, se
potevo offrirgli del cibo e mi risponde positivamente, facendomi capire che è
sorpreso dal mio atteggiamento. Consegno nelle sue mani un sacchetto con del
mangiare e me ne vado, ricevendo un grazie: era doveroso, avevo qualcosa che in
quel momento serviva più a lui che a me.
Non faccio tempo a capacitarmi di quanto avevo visto che la
mia curiosità mi spinge a vedere cosa si sta muovendo dietro a delle auto
parcheggiate e sopra a quelle che sembra un mucchi di stracci. Mi avvicino e
resto incredulo: davanti a me c’era una persona sdraiata su una coperta con una bottiglietta di colla in mano e se la stava sniffando mentre
qualche passante gli passava accanto non curante di quanto stava accadendo proprio lì. Non potevo crederci: un conto è sentire
parlare di certe cose, un altro è vederle coi propri occhi! Il giovanotto in
questione non mi ha visto ma emetteva un suono con la bocca che mi ha
risvegliato dal torpore: volevo avvicinarmi un po’ di più, cercare di
dissuaderlo ma probabilmente sarebbe stato vano ma ho preferito allontanarmi
per cercare di riflettere a mente fredda e soprattutto per paura, non avevo
idea delle sue e delle mie reazioni. Ciò che resta è un vero e proprio pugno
nello stomaco e, sebbene fosse mezzogiorno, la mancanza di appetito. Pentito
della fuga sono ritornato nel luogo dove si trovava quel ragazzo per cercare
di rimediare, o meglio per pulirmi la coscienza, ma di lui nessuna traccia: è
sparito nel nulla come era apparso improvvisamente nel mio cammino.
Ancora adesso non riesco a capacitarmi di questi due
incontri, mi hanno lasciato un peso nel cuore: non mi sembra corretto passarci
sopra, non posso gettarli nel dimenticatoio dicendo che sto già facendo molto
per i bambini di un hogar perché sarebbe una scusa. Ci sono tante realtà che
hanno bisogno e non posso aiutarle tutte, sarebbe impossibile, ma mi sto
chiedendo come posso dare un piccolo contributo perché anche solo dare un pezzo
di pane a chi ne ha bisogno può cambiargli la giornata.
Har baje
Hai ragione marco...un pugno nello stomaco anche per me che ti sto leggendo comodamente seduta sul divano di casa mia...cosa fare? Tu una cosa già l'hai fatta, hai guardato, hai deciso di alzare lo sguardo per vedere oltre i tuoi piedi, addirittura hai guardato dall'altra parte della strada. È questo che ci chiede papa francesco,di incrociare lo sguardo dei poveri,di toccarli. Recentemente ho letto un commento di Enzo bianchi alla parabola del buon samaritano dove veniva immaginato che il samaritano non avesse olio,bende,cavalcatura, soldi. Cosa avrebbe allora potuto fare? Tenergli la mano affinché l'uomo non morisse nella totale indifferenza.
RispondiEliminaAntonella, san Nicolò, mira