La settimana scorsa è stata un po' impegnativa in quanto coinvolto in prima persona nella preparazione dei vari appuntamenti religiosi ma ciò non mi ha negato la possibilità di meditare e di fare un po' il punto della situazione.
A darmi una mano nella riflessione è stata la comunità di Altino, che mi ha chiesto un pensiero in occasione della Via Crucis del Venerdì Santo: per me è stato un onore! Il tema non era affatto semplice ma nel mio contributo ci ho messo il cuore ed ho la gioia di poterlo condividere con voi nelle prossime righe.
"Marco, cos’è per te la Croce? E’ la domanda che spesso mi fanno i ragazzi nei primi incontri di catechismo e mi è difficile
rispondere, si tratta di un amore talmente grande che mi travolge e
mi lascia letteralmente senza parole. Mi è più facile disegnare una
croce stilizzata sulla lavagna ed unire i vari punti in modo da
ottenere un cuore enorme: non riesco proprio a darne una versione
differente. Ma chi è capace di un sentimento così? Spiego ai miei
piccoli amici che, in tutta la storia, c’è stata un’unica
persona capace di amare in questo modo: Gesù, che è sì mio amico ma confesso di
invidiare non poco. Il motivo? Sebbene in alcuni attimi è sembrato
vacillare ha continuato per la sua strada, facendo quanto il Padre
gli aveva chiesto: penso a me e mi vergogno per i tanti tentennamenti
avuti mentre Dio mi chiamava. Ero dominato dalla paura, eppure non mi
si chiedeva di morire per qualcuno come ha fatto Gesù, si trattava
di prendersi cura di tanti fanciulli che si trovavano in Bolivia, e
più Dio mi cercava e più facevo orecchie da mercante. Quasi
all’improvviso però è arrivato un momento in cui mi son chiesto
se ci fosse un valido motivo per dire di no e sono rimasto sorpreso
nel rispondermi che non c’era alcuna ragione valida, perché se
credo veramente in ciò che Gesù ci ha insegnato devo metterlo in
pratica. E’ così ho fatto e non mi sento un eroe per questo, anzi
a volte mi sento a disagio quando mi fanno i complimenti per la mia
scelta: l’unico da applaudire è Chi ha insistito per così tanto
tempo per avere il mio sì. Ho lasciato tutto: famiglia, amici,
lavoro, certezze per qualcosa di ignoto, solo per fidarmi perché Dio
mi ama e, come sempre mi ha detto una persona molto cara, se ti
chiede una cosa è perché sa che sei in grado di farla. Non sapevo
la lingua, ero un tipo più portato alla teoria che alla pratica ma
ho deciso di cominciare questo cammino, portandomi dietro debolezze e
dubbi su cosa mi aspettasse dall’altro capo del mondo. Da allora
sono passati più di 10 anni e non è sempre stato tutto rose e
fiori: più di qualcuno diceva che mi dovevo arrangiare, in fondo
l’idea di andare a Santa Cruz era stata mia e me la sono andata a
cercare; c’è sempre chi aspetta un mio passo falso ed è pronto a
criticarmi per qualsiasi scelta avessi fatto; il non riuscire a farmi
capire perché proveniente da una cultura molto diversa; il sentirmi umiliato come quella volta in cui ho dovuto sgombrare un blocco
stradale per passare e rimetterlo a posto così come l'avevo trovato. Quante volte sono stato
tentato quando mi si consigliava di tornare a casa perché le cose in
Bolivia si mettevano male o di gettare la spugna perché tanto le
cose non sarebbero di certo migliorate! Quante cadute ho fatto,
arrivando anche a sentirmi solo ma ho avuto la fortuna di trovare
tanti Simone di Cirene che mi hanno rialzato e sostenuto con una
parola, con un gesto ed un amore gratuito che continua a darmi la spinta
per proseguire il cammino.
Se riguardo gli ultimi tre anni, di sicuro sono
stati più i dolori che le gioie: ho perso la mia mamma ed è stato
il momento più buio, quello in cui mi sono chiesto davvero se
valesse la pena continuare perché la cosa più preziosa che avevo
non c’era più. Era davvero necessario arrivare a tanto? Nonostante
la malattia mia madre mi ha accompagnato fino all’ultimo in questa
mia scelta, ha avuto in mente e nel cuore questi ragazzi che ha
conosciuto attraverso le mie parole e questo mi ha dato uno scossone
bello forte: quello che mi muove è vederli sorridere, felici anche
se questo significa ridurre il tempo per me, sono entrati nella mia
vita per non uscire più. Non mancano i momenti in cui mi fanno
arrabbiare ma mi piace passare il tempo con loro, sono arrivato a
condividere le croci che si portano dietro, a farmele mie, e non mi
vergogno affatto nel dire di essermi ritrovato a piangere in loro
compagnia per quanto hanno sofferto, i loro problemi sono diventati i miei. Mi preoccupo per il loro futuro,
mi chiedo spesso cosa sarà di loro visto che fuori del centro c’è
tanta violenza: il mio desiderio è dargli il meglio di me e gli
strumenti con cui affrontare il mondo. Col tempo sono diventati anche
la mia fonte di ispirazione per scelte che mai avrei pensato di
prendere: se sono diventato accolito in parte è anche merito loro perché,
durante la pandemia, non avevamo nessuno che potesse venire a
celebrare e potevo leggere nei volti dei più grandi la tristezza di
non ricevere la Comunione. Mi stringeva il cuore e mi son fatto
coraggio, perché non credo di meritare l’onore di poter
distribuire l’Eucaristia, che è segno di quell’Amore così
grande che ritroviamo nella Croce: è stata una delle cose più belle
che mi potessero capitare, vedere nei loro volti accendersi un
sorriso mentre gli sto dando l’ostia è una gioia immensa, che mi
ripaga ampiamente di tutte le difficoltà avute. Posso dirmi felice,
sebbene a volte mi capiti di svegliarmi alle 6 e non ho la minima
idea di quando andrò a dormire? Sì e posso permettermi di guardare
la Croce con un po’ di vergogna in meno perché ho cominciato a
mettere in circolo una parte, sebbene piccola piccola, di quell’Amore che
Gesù ha avuto per noi e che ho avuto la fortuna di ricevere in tutti
questi anni."
Har baje
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