L’altro giorno ho fatto un sogno molto strano: arrivavo in
aeroporto, ero molto in ritardo e la hostess me lo ha fatto capire senza troppi
giri di parole ma lì c’erano tre ragazzi, che da poco ho accompagnato in un
altro centro, che mi aspettavano con il biglietto in mano e mi sorridevano, dicendomi
che finalmente ero arrivato dopo averli fatto tanto aspettare.
Al mio risveglio non riuscivo a dimenticare quanto
immaginato durante la notte e son più che sicuro che dietro c’era un duplice
significato: il primo riguarda la preoccupazione e l’attesa del viaggio che mi
riporterà in Italia dopo tanto tempo, il secondo invece si riferisce ai fanciulli
che qualche giorno son stati trasferiti in un nuovo hogar. E’ quest’aspetto su
cui voglio soffermarmi anche se posso risultare un po’ ripetitivo visto che l’argomento
salta sempre fuori quando c’è qualcuno che va via ma si tratta di un qualcosa
che mi coinvolge troppo e non posso non raccontarla.
Conoscevo da tempo chi erano i 7 che sarebbero andati via e
sapevo ben prima di loro dove sarebbero andati, era soltanto una questione di
giorni dal loro ritorno dalle vacanze ma, quando il momento era arrivato, sono
stato colto alla sprovvista, ero del tutto impreparato perché la cosa si sarebbe
concentrata in pochi istanti. La sorte ha voluto che fossi io ad accompagnarli
in quella che sarà la loro casa nei prossimi mesi: una fortuna perché potevo conoscere
la struttura a cui erano destinarli e stare in loro compagnia fino all’ultimo,
dall’altra una sfortuna perché si tratta dell’ultimo viaggio insieme, in cui la
mente riporta alla memoria vari episodi che li hanno visti protagonisti e si
respira un aria che non è proprio delle migliori, ed è una specie di lungo
saluto, di quelli che non sembrano finire mai mentre speri che termini al più
presto. Ammetto che speravo toccasse proprio a me questo compito e credo che
anche i ragazzi fossero contenti che fosse stato il sottoscritto a portarli a destinazione,
visto che mi avevano chiesto più volte se sarei stato io ad accompagnati.
Ho dovuto consolare i loro fratelli quando anch’io ero
toccato dalla cosa e mi è sembrato giusto portarli con me affinchè vedessero
dove sarebbero andati i loro familiari e si potessero congedare al meglio: non
mi pento della scelta fatta perché li ho visti più sicuri, più tranquilli.
Non posso nascondere il mio stupore nel vedere che le loro
cose erano racchiuse in massimo due zaini e una o due borse, anche se erano
anni che stavano qui: se penso a quante cose ho ancora nel mio armadio della
mia stanza in Italia mi viene da sorridere perché non mi basterebbero nemmeno
quattro valigie belle grandi! E’ la semplicità o meglio l’essenzialità che si
vive negli hogar: si dà quello che serve e mai per eccesso al fine di educare
ad una vita senza sprechi, dove si utilizza solo quello che serve.
Ad ogni fermata dell’itinerario le scene si ripetevano: si
scaricavano i pochi bagagli di chi era destinato a restare lì, si entrava nel
centro, si aspettava che l’assistente sociale parlasse con la collega per la
consegna di tutti i documenti e poi il saluto, una stretta di mano che poi si
scioglieva in un abbraccio intenso in cui non sono mancati i groppi in gola e
gli occhi lucidi. Nel mentre si parlava, non sono mancate le confidenze circa
la perplessità di dover permanere in quel posto anziché in un altro, si
scherzava per sdrammatizzare ma non potevo non osservare la tensione dei
ragazzi: erano nervosi, mi colpiva il fatto che uno, di solito sempre
sorridente, era teso in volto dal momento in cui avevamo lasciato l’hogar ed
era da capire perché ora stavano per affrontare una nuova tappa della loro vita
e dovevano farlo da soli. Non voglio scendere nei particolari ma ad ogni saluto
c’era da parte mia tristezza, preoccupazione per qualcuno di loro perché
conoscendolo sapevo quanto il suo inserimento nella nuova realtà non sarebbe
stato semplice ma c’era spazio anche per un senso di fiducia e di ottimismo perché ce l’avrebbero
fatta in quanto sono davvero in gamba ed è stato un onore accompagnarli fino a
questo punto.
Non manca una certa malinconia nel vedere degli spazi vuoti
nel refettorio e nella fila, dà un senso di vuoto che però presto si riempirà:
lunedì arrivano dei nuovi bambini, bisognosi di qualcuno che se ne prenda cura e
che gli accompagni per un po’, proprio come i ragazzi che ci hanno appena salutato.
Har baje
P.S: dal 17 gennaio sarò in Italia e disponibile a
raccontare di persona la mia esperienza a quanti lo volessero. Se interessati,
contattami in privato.
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