L’altro giorno ci è arrivato un nuovo ragazzo, di circa 9
anni: la Defensoria ce l’ha portato così, con soltanto i vestiti che aveva addosso.
Quando mi ha visto la prima volta è sembrato impaurito, ha avuto un sussulto ma
sono bastati pochi istanti per riprendersi e presentarsi stringendomi la mano.
Quando ha intravisto i suoi nuovi compagni mi ha colpito il
fatto che voleva andargli incontro colpendo il palmo di una mano con l’altra
chiusa a pugno come ad indicare che fosse un duro, da quelli da non prendere
in giro altrimenti non ci avrebbe pensato due volte prima di picchiare. Si
notava che dietro il suo comportamento c’era la voglia di nascondere la paura,
i timori nei confronti di un luogo e di persone mai viste prima.
Chi l’ha portato mi racconta che l’hanno trovato il giorno
prima per strada e mi consiglia di tenerlo d’occhio perché ha la voglia di
andarsene, di scappare per andare chissà dove. Non aveva con sé la
documentazione dell’assistente sociale che ne aveva seguito il caso, c’era
soltanto un breve ritratto psicologico che ho letto tutto d’un fiato spinto da
quanto avevo appena ascoltato: il fanciullo spesso non andava a scuola, dice che sua
madre lo picchia e sorveglia delle macchine parcheggiate in una piazza. Un
quadro che un poco mi preoccupava poiché intuivo che il bambino era molto
sveglio, conosceva le regole della vita di strada e quindi bisognava starci un
po’ di più dietro, soprattutto nel processo di adattamento alla vita del
centro.
Dai primi racconti degli educatori sembra sia da prendere
con le molle perché vivace e non perde occasione per venire alle mani, anche
quando mangiamo l’ho notato che non conosce molto bene le regole di un buon
comportamento. Ho preferito adottare una linea morbida, cercando di fargli
conoscere e capire le norme del centro con calma e senza fretta, ignorando le
lamentele degli altri ragazzi sulla sua condotta perché era nuovo e non
bisognava riprenderlo per ogni cosa sbagliata che faceva.
Non ho passato molto tempo in sua compagnia ma l’ho notato
smarrito, timoroso, insomma molto diverso da come si era presentato: ieri mi si
avvicina, mi confida queste parole “Vorrei andarmene di qua…” e lo fa con
un’espressione che ben rappresentava la tristezza che provava. Non so cosa
dirgli, vorrei rasserenarlo ma non so come, non trovo le parole e non voglio
neanche illuderlo facendogli immaginare che la sua permanenza qui è solo questione
di pochi giorni. Sono preoccupato per lui, capisco che non è mai stato prima in
un hogar e non è facile star lontano dalla sua famiglia, soprattutto alla sua
età.
Stamattina nuovamente viene da me e mi chiede “Quanto tempo
devo stare qui?”, con una faccia che non riesce a nascondere le sue
preoccupazioni ed i suoi timori. Anche stavolta non so cosa rispondere, posso
soltanto dirgli che è meglio aspettare l’assistente sociale in modo che gli
spieghi come stiano veramente le cose e lui mi accenna un sorriso. Noto che
mangia poco, non vuole nemmeno la merenda e mi fa riflettere, vedo che questa
sua sensazione di disagio colpisce anche il suo appetito… Poiché oggi la nostra
assistente sociale viene in hogar, sfrutto l’occasione e parlo della
situazione, pregandola di parlare col ragazzo: lo fa e poi mi conferma quanto
pensavo ovvero che il fatto di vivere quest’esperienza gli pesa e non sarà semplice per
lui adattarsi alla vita del centro. Dovremmo avere pazienza ed un occhio di
riguardo per lui, ha bisogno di fiducia e di qualcuno che lo faccia sentire
amato ed al sicuro: glielo dobbiamo, così come cerchiamo di farlo con tutti i
piccoli ospiti della struttura.
Har baje
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