A volte è davvero difficile raccontare tutto quello che
accade in hogar: ci sarebbero molte cose da dire e dovrei postare qualcosa ogni
giorno, cosa che mi è impossibile visti i ritmi che sosteniamo! Accadono cose
belle ed altre meno, capaci di lasciarci un insegnamento da ricordare nel caso
dovrebbero ripetersi: ecco di seguito una carrellata di ciò che mi ha più
colpito nelle ultime settimane.
Il primo episodio è recentissimo e riguarda due bambini: era
sabato e mi toccava fare da guardia notturna. Nell’augurare la buonanotte ai
ragazzi ne noto uno che ha la gamba del pantalone piena di sangue: mi allarmo e
dico a Sandra se può andare in infermeria a vedere cosa può essere mentre mi
occupo di controllare che le luci siano spente e le porte chiuse. Fatta una
rapida perlustrazione mi fiondo a vedere cosa sia successo: quando arrivo vedo
che l’educatrice è alle prese con una ferita larga che non smette di
sanguinare: che fare? Serve mettere dei punti, lei sa farlo ma non abbiamo
niente come anestetico… Chiamo Liliana per un consiglio su come meglio agire:
si opta per andare a casa sua perché il marito, un dentista, potrebbe suturare.
Non faccio ora a chiudere la telefonata ed ecco arrivarmi due ragazzi, con uno
che sta piangendo a dirotto. Lo riconosco, è uno dei più piccoli: perde sangue
da una gamba, che è anche bella gonfia. Vengo a sapere che, giocando, un suo
compagno di stanza l’ha spinto di forza e lui è andato a sbattere sul letto: il
taglio è profondo ma non sanguina molto, decido di portare via anche lui per
controllo. Prima di andare però faccio un giro di controllo per verificare se tutto sia a posto e chiedo a due educatrici che vivono nel centro che per
favore vigilino sulla struttura fino al mio ritorno. Prendo la camionetta e
vado a casa di Liliana: il più piccolo non dà molti problemi, si lascia curare
mentre lo tranquillizzo e si fa mettere due punti sulla ferita; è il secondo a
creare grattacapi perché non c’è verso di calmarlo, dice che gli farà male e
non c’è verso di suturarlo. Si opta per pulirgli la parte lesionata e per un
antidolorifico in pastiglia, il giorno seguente però dovrà stare a letto per
evitare che il taglio si riapri.
Un caso che mi ha messo a dura prova è avvenuto una domenica
mattina, poco prima di pranzo: approfittando del fatto che i ragazzi stavano
guardando la televisione, stavo per mettermi a pulire la stanza quando vengo
chiamato da due bambine che erano castigate. Mi dicono di andare in lavanderia,
dove c’è la educatrice che le sorvegliava, ed anticipano la mia domanda
spiegandomi che uno dei loro compagni di punizione era salito sul tetto e non
c’era verso di farlo scendere. Una volta saputo il nome, vado nel luogo
incriminato ben sapendo che dovevo conservare la calma e la pazienza perchè
consapevole del fatto che il ragazzo, nei suoi momenti di crisi, si
intestardisce e non c’è verso di farsi ascoltare. Quando giungo lì, l’educatrice
mi dice che non c’è stato niente di particolare che abbia potuto giustificare
questo atteggiamento: ora però il fanciullo passeggia per il tetto e si scopre
che ha scavalcato il muro che ci separa dalla scuola. Non c’è tempo da perdere:
vado a prendere le chiavi per aprire i cancelli che separano le due strutture
ed assieme al gruppo dei castigati vado a cercarlo: non lo si trova e neppure
risponde alle nostre chiamate, voglio soltanto sapere come sta e dove si trova.
Quando i tentativi di ricerca sembrano falliti eccolo riapparire vicino all'entrata
dell'hogar: devo fare tutto il giro perché mi trovo nella parte opposta e
quando arrivo il fanciullo è tenuto ben stretto da un altro. Lo guardo e mi
accorgo che chi ho davanti non è il ragazzo che conosco, ha uno sguardo furioso
e stento a riconoscerlo: dico di lasciarlo andare e cerco di parlargli con
calma per farlo stare a suo agio, tenendomi a debita distanza. L’unico risultato
che ottengo è che fugge ancora una volta, dico a qualcuno di chiamare la
sorella maggiore sperando che almeno lei riesca a farsi ascoltare e maledico il
fatto che almeno una decina di bambini lo rincorrono… “Così lo innervosiscono
ancora di più!” e difatti comincia a lanciare pietre e bastoni, almeno così mi
dicono. Lo afferrano in due mentre cercava nuovamente di scavalcare il muro,
arrivo e dico a tutti di allontanarsi mentre la sorella cerca di dirgli qualcosa
ma non c’è niente da fare, il fanciullo non è in sé! Provo ancora una volta con
le buone, dico ai due di liberarlo e di andare via, in modo che rimaniamo soli:
gli parlo dolcemente ma ancora una volta scappa e non riesco ad afferrarlo
mentre passa dall'altra parte della mura. A questo punto non ho
scelta: è in una condizione in cui potrebbe fare male a sé ed agli altri per
cui chiamo i più grandi per acciuffarlo. Fortunatamente è appena arrivato
Marco, un educatore, e viene a dar man forte: i ragazzi lo hanno fermato e lo
solleviamo per portarlo nel dormitorio maschile. Nonostante il fisico gracile
cerca di divincolarsi e lo fa con una forza a dir poco sorprendente: non vi
dico che pena sentirlo gridare e che minuti interminabili ho vissuto, ma non c’era
altra possibilità! Per placare la sua rabbia lo dobbiamo mettere alla doccia
per ben due volte, sempre cercando di assecondarlo e di parlargli con calma e con
affetto. Dopo un bel po’ si calma, mangia qualcosa e poi si mette a dormire. Al
suo risveglio mi accoglie con uno dei suoi soliti sorrisi, “è tornato in sé,
questo è il ragazzo che conosco!” penso mentre mi faccio sopraffare da sollievo
e gioia. Gli parlo per capire cosa sia successo, cosa abbia sprigionato quegli
attimi di pura follia ma risponde di non ricordarsi nulla, poi mi guarda serio
e dice che sua mamma lo picchiava con un palo di ferro. Riesco a malapena a
sussurrare “mi dispiace” e lo abbraccio forte a me.
Un paio di settimane fa don Eliseo ha cominciato a tagliare
i capelli ai maschietti, visto che il sottoscritto era impegnato in altre cose:
nessuno si è rifiutato ad eccezione solamente di uno. Motivo? “A me piacerebbe
che sia Marco a farlo perché posso star con lui e chiaccherare”.
Elizabeth è arrivata da tre settimane circa in hogar, assieme
ai suoi fratelli. L’ho accolta io e mi sono preoccupato di farla cenare, visto
che ce l’hanno portata alle 8 di sera: non so se è questo il motivo ma non
appena mi vede mi corre incontro, regalandomi un sorriso radioso, e non mi
molla più, mi afferra il braccio o si appoggia a me, ogni tanto mi dona qualcosa
come un fiore, un palloncino o un biscotto. Soffre di epilessia, ha difficoltà
a muovere gli arti della parte sinistra del corpo e presenta una vistosa
cicatrice in una gamba, non riesco a capire se si tratti di una bruciatura o di
una grossa lacerazione della pelle ma quel che avverto è che ha una grande
necessità che qualcuno le voglia bene, che abbia scelto me per questo? A volte
dice che sono il suo papi e ciò mi fa riflettere: suo padre la picchiava, come
può avvicinarsi ad un altro uomo senza alcun timore e senza esitare a fidarsi?
Soltanto Dio lo può sapere, nel mio piccolo cerco di non deludere questa mia
nuova piccola amica.
Har baje
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