domenica 6 giugno 2021

Dal diario di bordo del 6 giugno

Nel cuore dei ragazzi, nascosto in un angolino, c'è sempre lo stesso identico desiderio: ritornare coi propri genitori e non importa se il fatto di ritrovarsi in un hogar si ricolleghi in qualche modo a loro. E' un segreto di Pulcinella visto che tutti lo conosciamo, sebbene cerchiamo di far finta di non saperlo: io per primo so che posso mettere tutto l'amore che voglio in quello che faccio per loro ma mai potrò rimpiazzare l'affetto che solo una madre o un papà può dare e questo i piccoli lo sanno perfettamente. Possiamo strappargli un sorriso, farli scoppiare il cuore di gioia per qualche istante ma nulla potrà essere uguale al fatto di stare con chi vuoi più bene e di sentirti benvoluto da loro.
A volte capita che questo sogno si spezzi: purtroppo è già accaduto in passato ed è ricapitato qualche giorno fa. Nel tentativo di contattare la famiglia di un gruppo di fratelli ospitati nel centro l'assistente sociale ha fatto una macabra scoperta: la loro mamma era morta da qualche mese! Quando lo sono venuto a sapere non ho nascosto il mio sconcerto e il mio rammarico visto che in varie occasioni i bambini avevano espresso il desiderio di poterla rivedere, era da tanto che non la vedevano. Non si poteva nascondere la verità, era necessario dirla ma bisognava prendere la cosa con le pinze: potrei paragonare ogni fanciullo presente nel centro ad un un vaso di coccio che si può rompere facilmente, nonostante a prima vista dia l'impressione di essere ben resistente, ed una notizia simile potrebbe fargli veramente male e tanto. Apprendere della perdita di una persona cara è già devastante in condizioni normali, per dei ragazzi così fragili la cosa potrebbe essere ancora peggio!
L'ingrato compito di comunicare il fatto ai diretti interessati è toccata ad Ingrid, la nostra psicologa, che si è ben preparata qualche giorno prima, ma anch'io mio malgrado avrei giocato un ruolo importante in tutto questo: sono il padrino del più grande e proprio per questo motivo non potevo tirarmi indietro. Nei giorni precedenti al tragico annuncio ai fratellini mi chiedevo spesso come mi sarei comportato, cosa avrei detto, come sarei stato vicino al mio figlioccio e mi immaginavo diversi scenari, molto diversi fra loro: alla fine ho lasciato perdere, non potevo fasciarmi la testa prima del tempo, l'unica cosa era non nascondersi, cercando di essere me stesso quando sarebbe stato il momento.
Sono stato preso alla sprovvista quel venerdì: sapevo che la psicologa aveva scelto quel pomeriggio per comunicare la notizia a quei poveri fanciulli ma non ne avevo dato molta importanza, c'erano alcune cosa da fare che mi aspettavano e mi avevano spinto a mettere la cosa in secondo piano. Ad un tratto vengo chiamato e subito i miei pensieri vanno a cercare di capire cosa sia successo: davanti a me Ingrid che mi dice che il mio figlioccio ha chiesto di me dopo aver saputo della morte della mamma, è seduto nel suo ufficio e mi aspetta. Mi viene un groppo in gola, non ho minimamente idea di cosa fare, l'unica opzione sul tavolo è andare da lui: entro nella stanza, lo vedo con il capo chino e la testa fra le mani. Non mi degna di uno sguardo ma capisce che mi sto avvicinando e sedendo accanto a lui: singhiozzando mi informa che sua mamma non c'è più e mi abbraccia, sciogliendosi in un bagno di lacrime. Lo stringo a me, mi risulta difficile trovare qualche parola che non sia mi dispiace: mi sento davvero triste e vorrei davvero fargli passare tutto il dolore che sta provando. Sono stati attimi intensi, poi sembra tranquillizzarsi: si rimette seduto, fissa la parete, il suo sguardo vuoto e rigato da qualche lacrima che a stento riesce a trattenere. Cerca di farsi forte, di  indossare nuovamente quella corazza che spesso lo difende da quello che più gli fa male. Gli sussurro che non deve vergognarsi di piangere, è normale in quei casi ma capisco subito che qualsiasi cosa gli dica in quel frangente non avrebbe sortito alcun effetto. Faccio l'unica cosa da fare in quel momento: gli sto vicino e poi gli metto una mano sulla spalla e successivamente sulla testa. 
Mi dispiace vederlo così, in diverse occasioni mi ha parlato di come aveva vissuto prima di essere portato in un hogar ma mai mi aveva parlato della mamma: è da tantissimo tempo che non la vedeva, forse anni. Non ho il coraggio di chiedere quale fosse stata l'ultima volta in cui l'ha incontrata, posso solo percepire soltanto una piccola parte del dolore che sta provando, della sua tristezza nel sapere che non potrà mai più riabbracciarla e questo mi blocca. Mi piange il cuore osservarlo in quello stato, non posso fare a meno di dirgli che può contare su di me anche se so che questo può suonare come una magra consolazione di fronte alla disgrazia che gli è capitata. 
A fil di voce mi chiede se è vero che quando una persona muore non è più possibile rivederla, lo fa singhiozzando e mi risulta difficile rispondergli che purtroppo è così ma lo potrà fare con gli occhi dell'anima, con il cuore perchè sua madre è dentro di lui ed ha gli stessi suoi occhi, la sua stessa espressione: è quello che vedo guardando quella foto che ha davanti. Con un po' di coraggio gli chiedo cosa ricordasse di lei e mi racconta di come cercasse di accontentarlo in tutti i modi: gli suggerisco di afferrarsi a questo episodio con tutte le sue forze e di mettere da parte altri meno positivi, so che questo potrebbe sembrare difficile oppure una pazzia ma è l'unico modo con cui cercare di andare avanti. Deve solo sapere che ad affrontare questa situazione non è solo: ci sono anche i suoi fratelli e se e quando vorrà ci sarò anch'io, il suo padrino, per cercare di aiutarlo a rialzarsi.
Har baje 

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