martedì 6 ottobre 2020

Parole di vita

Mi sento fortunato, anzi un privilegiato, perchè fino ad oggi ho potuto continuare a seguire direttamente i ragazzi che si stanno preparando per la Prima Comunione e la Cresima: all'inizio ho dovuto sospendere il catechismo per allinearmi alle decisioni prese dall'Arcidiocesi sul tema della pandemia ma poi ho avuto la sorte di essere autorizzato a riprenderlo visto che la mia comunità non ha contatti con l'esterno, eccezione fatta per il personale che viene a lavorare e qualche donazione che arriva. Ne sono grato perchè è bello e gratificante poter camminare insieme ai fanciulli cercando di guidarli lungo questo percorso spirituale e personalmente il percorso che sto affrontando con i più grandi mi entusiasma parecchio visto che con loro ho deciso di cambiare metodo rispetto agli anni passati, trovandone uno più intimo, più profondo e capace di arricchirmi e di farmi scoprire aspetti che fino ad ora avevo ignorato.
Preparando il tema legato alla missione mi son ritrovato davanti la parabola del Buon Samaritano ed ho potuto riscoprirla sotto una nuova luce. Per chi non se la ricordasse bene in questo episodio del Vangelo di Luca Gesù, in risposta ad una domanda di un dottore della legge, racconta di un viandante che era stato aggredito da dei briganti che gli rubano tutto e lo lasciano mezzo morto. Successivamente passarono nelle vicinanze un sacerdote e un levita e nessuno di loro fece qualcosa per il malcapitato mentre un Samaritano lo vide, lo soccorse e poi lo portò in una locanda pagando l'albergatore affinchè se ne prendesse cura con la promessa che gli avrebbe rimborsato la cifra che avrebbe speso in più rispetto a quanto gli aveva dato. Il brano si conclude con il riconoscimento da parte dell'interlocutore che il prossimo di chi era stato vittima dei briganti era stato chi ha avuto compassione di lui e con l'invito di Gesù a fare lo stesso.
Ho riletto più volte questo passo e non posso fare a meno di sentire che mi parla perchè quelle parole non sono solo pagine scritte secoli fa ma sono vive e si rivolgono alla mia quotidianità: mentre scorro quei versetti mi viene in mente Estela, affetta da sindrome di down, che nel refettorio si è messa in un angolo con la faccia rivolta alla parete mentre nessuno stava facendo niente per far sì che si sedesse e cenasse. Nel vederla così non potevo non intervenire, le mi sono avvicinato e con tutta la dolcezza possibile le ho parlato, l'ho invitata a sedersi e l'ho accompagnata nei suoi primi bocconi mentre la sua espressione da incapricciata lentamente è passata ad essere contenta. 
Davanti a quel frammento di Vangelo non posso non pensare a quel bambino che cercava di colpirsi quando andava in crisi: in un'occasione l'ho visto disteso tra l'erba e la sabbia con al suo lato una delle educatrici più giovani, la cui faccia sgomenta mi faceva capire che non sapeva più che pesci pigliare. Dovevo sbrigare delle faccende urgenti e le ho consigliato di seguire la prassi che ci avevano suggerito in una riunione, purtroppo però ciò non le è stato utile in quanto ripassando per di là il fanciullo si ritrovava nella medesima posizione. A quel punto non ho avuto dubbi: ho lasciato quello che dovevo fare e sono rimasto lì, accompagnandolo con la mia presenza e con qualche buona parola e confortando l'educatrice dicendole che non era colpa sua. Ho tentato di applicare la tattica che avevo suggerito pochi istanti prima, ero felice visto che sembrava funzionare salvo poi rivelarsi un fallimento in quanto qualche attimo dopo il ragazzo ha cercato di colpirsi al volto e nella foga mi ha fatto volare gli occhiali. Non mi restava che trattenerlo affinchè non si facesse del male, ho sentito entrare una grande tristezza nel mio cuore nel farlo perchè gridava e si dimenava cercando di tirarsi una ginocchiata al volto: in quei frangenti pensavo che non fosse affatto giusto che una vita così giovane possa ridursi così e mi chiedevo cosa potesse essergli successo per arrivare a tanto. Sentivo le forze abbandonarmi, ho chiesto a chi mi stava davanti di chiamarmi un'altra educatrice che sapevo che sicuramente sarebbe stata in grado di darmi una mano grazie alla sua esperienza e per fortuna arriva, dandomi un aiuto non da poco: in quel momento mi è sembrata, coi dovuti paragoni, come l'albergatore della parabola che si prende cura del malcapitato visto che il Samaritano non può farlo.... E se quest'ultimo fossi  stato proprio io? Ho avuto compassione di quel fanciullo? So di non mentire dicendo che all'inizio la mia intenzione era di fare come il sacerdote ed il levita del racconto perchè avevo la certezza che mi sarei ritrovato in una situazione difficile e francamente non ne avevo voglia ma la scena che avevo davanti gli occhi non mi lasciava per nulla tranquillo ed ho provato compassione per quel piccolo, non volevo proprio lasciarlo così. 
Credo di aver provato lo stesso dispiacere, la stessa sorta di sofferenza l'altro giorno quando ho scovato uno dei ragazzi piangere in un angolino mentre sopraggiungeva il buio: l'ho chiamato ma ricevevo come risposta soltanto silenzio. A quel punto l'ho preso per mano, l'ho fatto sedere ed ho aspettato i suoi tempi, dandogli un forte abbraccio dopo essersi confidato. Gli ho detto che quando si troverà in difficoltà ci sarà sempre qualcuno disposto ad ascoltarlo o a tendergli una mano, credo che in quel momento avesse il bisogno che qualcuno glielo dicesse: questo fa di me un buon Samaritano? Di sicuro di strada ne devo fare ancora parecchia perchè la tentazione di tirare dritto per la mia strada senza vedere chi ho attorno a volte è tanta ma devo ricordarmi che il segreto è “avere compassione”: qui è racchiuso il mio essere missionario perchè per dare la mia parte migliore agli altri non posso ignorare cosa provino o avere paura della loro sofferenza ma devo cercarla di farmela un poco mia, pensando poi a come vorrei essere trattato se fossi al loro posto.
Har baje

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