E' passato molto tempo, forse troppo dall'ultima volta che ci eravamo visti: ricordo che l'ho salutata prima di tornare l'Italia poi, complici la tante cose da fare al mio ritorno e poi la quarantena, ho potuto rincontrarla solo ora. Non è tutta farina del mio sacco, più di qualcuno mi aveva detto che la mia figlioccia moriva dalla voglia di rivedermi, insieme ad un'altra aveva spinto a chiedere alla suora che dirige il centro dove si trova a mandarmi un messaggio per sapere come stavo, ma ancora avevo dei dubbi perchè conoscevo le limitazioni che gli hogar stanno adottando circa le visite ai ragazzi e la pigrizia vinceva su quello che come padrino dovrei fare.
Ci è voluta una chiamata inattesa per sbloccarmi e far capire che il tempo di tergiversare era finito: ieri mi squilla il cellulare e noto che era il numero della direttrice dell'altro centro. Rispondo e rimango senza parole: la voce non era della superiora, era diversa e mi sembrava di conoscerla fin troppo bene... Era quella di Ruth, la mia figlioccia! Mi chiede se il giorno dopo, cioè oggi, posso andarla a trovare: mi sento preso in contropiede ma so benissimo che non posso negarmi ed assicuro che andrò a farle visita nel pomeriggio visto che prima dovevo sbrigare alcune faccende. Intuisco che queste mie parole la riempiono di entusiasmo e mi saluta dicendomi “Marco, le quiero mucho” (“Marco ti voglio tanto bene”), quanto basta per sorprendermi e dipingere un sorriso nel mio volto perchè una volta di più ho la fortuna di sentirmi amato. E' bastata proprio quella frase a darmi una scossa e ricordarmi che ero il suo padrino, avevo degli obblighi morali nei suoi confronti ed era giunta l'ora di adempierli!
Inutile nascondere l'emozione che ho provato qualche istante prima di suonare il campanello del centro dove vive: non sapevo cosa gli avrei detto ma volevo sapere veramente tutto su come aveva passato gli ultimi mesi! C'è voluto un bel po' prima che mi aprissero la porta, l'attesa è stata snervante ma quando ho visto Ruth correre verso di me con un volto raggiante ho capito che aspettare qualche minuto in più ne è valsa proprio la pena! L'avrei voluta abbracciare, purtroppo perè per colpa di questo virus non è possibile ma, che uno ci possa credere o meno, è come se lo avessimo fatto con gli sguardi. Ci sediamo e raccontiamo a vicenda come abbiamo trascorso l'ultimo periodo. La vedo serena ma noto qualcosa che non va, conoscendola so quando vorrebbe dire qualcosa ma prova vergogna a farlo. Mi dice che ora, avendo 19 anni, è stata trasferita con altre ragazze più grandi in un appartamento a pochi passi dall'hogar e che l'anno prossimo vorrebbe studiare per diventare infermiera. Non posso che essere contento della sua decisione ma mi lascia perplesso una cosa: quest'anno doveva frequentare una scuola in cui avrebbe fatto gli ultimi due anni che le mancavano per diplomarsi, so che si era iscritta ma per via della quarantena non aveva mai frequentato, nemmeno via internet, per cui com'era possibile che avrebbe iniziato un nuovo ciclo di studi? Semplicemente per il fatto che grazie alla chiusura anticipata dell'anno scolastico in Bolivia tutti erano risultati promossi e così aveva già in tasca il titolo di studio: sono rimasto senza parole! Non sapevo se essere felice per lei o preoccuparmi visto che sicuramente avrà più di una lacuna ma ormai non si può fare più niente.
La nostra chiacchierata viene interrotta dalla superiora che mi spiega per filo e per segno la scelta che ha fatto per Ruth: è l'inizio di un nuovo cammino per renderla più indipendente, anche se il centro l'appoggerà per gli studi. Mi informa che la sta aiutando a trovare un lavoro in modo da essere più indipendente, avvertendomi però che non sarà a tempo pieno visto che a gennaio dovrà iniziare a studiare: concordo pienamente con lei, so che è un passo importante ma indispensabile per renderla più responsabile. Mi accorgo che nella mia figlioccia c'è un po' di paura, è logico che ci sia quando si sta per intraprendere un nuovo percorso ma non deve avere la meglio, e quando siamo nuovamente soli cerco di incoraggiarla, le consiglio di non preoccuparsi troppo. Comincia ad essere più tranquilla, serena al punto da trovare la forza di chiedermi un piccolo favore, anche se lo fa con tanta vergogna: quello di aiutarla fino a quando sarà più autonoma e lo fa mentre i suoi occhi si gonfiano. So che sta vivendo un momento dove tutto le è nuovo e posso immaginare quanto sia difficile per lei: la mamma non c'è più, il padre non si è più fatto vivo ed è meglio così, i suoi fratelli sono più piccoli di lei ad eccezione di una di cui ha perso le tracce da un pezzo... Si sente sola e l'unica persona a cui può fare affidamento sono io, lo sappiamo entrambi così come ne sono a conoscenza i responsabili del centro dove si trova ora: da quando l'ho conosciuta e mi ha scelto come padrino non mi sono mai tirato indietro e l'ho accompagnata nei momenti più importanti, non è il momento di farlo proprio ora. Non appena ho sentito la sua richiesta non ho avuto dubbi: la aiuterò ancora una volta perchè lo merita ed ha bisogno di qualcuno che le dia fiducia mentre sta cominciando a muovere i primi passi in un mondo del tutto nuovo per lei. Lo faccio non perchè sia una mia figlioccia ma per il fatto che grazie a lei mi riscopro padre, capace di prendermi cura di chi magari non avrà il mio sangue ma che è entrato a far parte della mia vita in punta di piedi ed è giusto cercare di guidarlo verso il meglio: per me Ruth è la figlia più grande che abbia avuto finora.
Har baje
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