Col passare del tempo mi rendo conto sempre di più di quanto
quest’esperienza mi stia cambiando in meglio, almeno credo: non sono solo i
piccoli gesti a farmelo capire, come ad esempio prestare la mia felpa ad un
ragazzo che tremava dal freddo perché si era dimenticato di mettersela, ma
anche alcuni episodi che succedono nell'arco della giornata.
Uno di questi è accaduto giovedì scorso, che è il giorno in
cui mi riposo: complice il maltempo ho deciso di andare al cinema, mosso anche
dal pensiero di portarci i ragazzi durante le vacanze invernali ormai prossime
e dalla voglia di provarlo in prima persona per verificarne la fattibilità. Il
risultato è che alla fine ho avvertito un senso di colpa, di vergogna non tanto
per il fatto di andare a vedere un film quanto per essere entrato in una
struttura che poco a che fare con la realtà che vivo ogni giorno: un edificio
che ospita un centro commerciale su due piani, piastrellato di bianco latte,
con negozi di prodotti di un certo valore che la maggior parte dei boliviani
non si possono permettere. C’erano le scale mobili, l’aria condizionata e
sembrava di essere in un’altra realtà, distante anni luce da quella delle
periferie di Santa Cruz: anche chi la frequentava aveva un’aria diversa, più
benestante e lo si capiva da come vestiva… Mi sentivo in disagio vedendo marchi
prestigiosi ed i prezzi indicati nelle vetrine, mi venivano in mente i vari
mercati che di solito frequento, la gente che vi lavora e stentavo a credere
che fossero le due facce della stessa medaglia! Mi sentivo fuori posto, oppresso
da tutto questo sfarzo, mi veniva meno il fiato e per questo ho deciso di
uscire a prendere aria e per fare due passi, complice il fatto che mancava un
bel po’ all’inizio dello spettacolo a cui volevo assistere. Una volta uscito
dallo stabile non passano neanche cinque minuti che mi trovo a camminare di fianco ad una serie di case, se così si possono chiamare, fatte di travi in
legno e qualche lamiera, con il lavandino all’aperto e l’immondizia a far da
padrona, che fanno da contraltare al luogo da cui ero appena uscito: mi sentivo
schifato, non riuscivo a credere ai miei occhi e penso che ormai anche qui si
comincia a vedere in forma più marcata la differenza tra ricchi e poveri… Penso
ai miei ragazzi, ai vicini dell’hogar, a qualche realtà che ho potuto conoscere
e mi rattristo: com’è possibile che esista una differenza così abissale tra due
realtà che sono presenti a poche decine di metri l’una dall’altra? Non sono
stato molto a mio agio durante la visione del film per quanto visto e devo dire
che la sensazione che ho provato, una specie di senso di colpa per esserci
stato, è tuttora presente…
Qualche settimana fa è capitato un episodio che auguro non
capiti mai a nessuno: era il compleanno di una ragazza appena arrivata e, per l’occasione,
sono venuti sua madre ed il patrigno. Non avevano il permesso del giudice per
visitarla e sapevo che il motivo per cui la giovane era qui era proprio la
famiglia: per avere conferma su come procedere, telefono a Liliana che mi
rassicura sul fatto che non posso far entrare nessuno. Metto al corrente la
mamma ma lei insiste che vuole vedere sua figlia, le ha portato delle torte ed
un regalo, e si va avanti una signora che dice che può vedere la fanciulla perché
autorizzata (non si sa da chi e non ha nessun documento che lo attesti): a complicare la già difficile situazione ecco che sopraggiunge la festeggiata che
ovviamente scoppia in lacrime. Non so che fare perché anche i suoi parenti
cominciano a piangere e Liliana non risponde...Opto per una soluzione che
eviti qualsiasi problema: si sarebbero salutati a qualche metro di distanza e
solo la tizia che dice di tenere l’autorizzazione a visitare la ragazza potrà
avvicinarla ed abbracciarla. Vi lascio immaginare quanto straziante fosse la scena:
nel giro di pochi minuti mi accorgo che
anche il mio viso comincia a bagnarsi di qualche lacrima perchè non riesco a
restare impassibile di fronte a quanto sto assistendo e non posso che
partecipare al dolore ed alla tristezza di questo momento. Non è stato facile
dire alla famiglia che doveva andare, quei dieci minuti che gli avevo concesso
e che erano sembrati un’enormità erano già passati: con un groppo in gola li
congedo ed aiuto la fanciulla a portare dentro quanto ricevuto, cercandola di
confortarla anche se le parole che mi uscivano di bocca servivano forse più a
me che a lei. In quegli attimi mi son reso conto che pian piano ho smesso di
restare indifferente a quello che prova chi mi sta vicino: mi capita di ridere,
piangere, essere triste o allegro coi ragazzi in base al momento, mi rendo in
qualche modo partecipe dell’istante che stanno vivendo… Mi accorgo di essere diventato più “umano”, molto diverso da quella persona che ero prima di partire e che l’ambiente
che mi circondava mi portava ad essere: meno interessato alle apparenze, non ho
più paura di mostrare ciò che sento e che provo, non cerco più di nascondere le
mie debolezze e le mie fragilità perché semplicemente sono una parte di me e
vale la pena condividerle, sempre e comunque, perchè mi danno la possibilità di avvicinarmi di più al prossimo.
Har baje
Caro marco ancora una volta grazie! I racconti che condividi non lasciano mai indifferenti. .... tu hai avuto un dono, Riesci a vedere e provare quello che la maggior parte delle persone non vede e non prova. Grazie per aver fatto vedere anche noi che tante volte volte guardiamo senza vedere......
RispondiEliminaAntonella. Mira