Mi fermo a pensare a quante volte, durante la scorsa settimana, mi sono ritrovato davanti a quel crocifisso coperto, a quegli istanti in cui mi soffermavo ammirando quell'altare spoglio, alle occasioni in cui mi sono sorpreso inginocchiato di fronte a quella figura di un uomo crocifisso posto al centro della cappella in una posizione tale che tutti potessero offrirgli un gesto di affetto: attimi intensi, preziosi in cui ero sicuro di affidare a Chi mi stava davanti quella cupa sensazione che a volte si fa strada dentro di me e mi pare lacerare. Mi sorprende sempre: fa la sua comparsa nei momenti più inaspettati, sebbene le piaccia intrufolarsi nei miei pensieri soprattutto quando le cose non vanno proprio nel verso giusto, facendomi riscoprire di colpo tutte le mie debolezze.
Questa percezione è arrivata quasi a darmi il colpo del ko verso la fine di gennaio, quando il dengue mi ha costretto nuovamente a letto per quasi due settimane, e solamente ora, in ginocchio nella chiesetta deserta, riesco a darne un nome: desiderio di tornare a casa. A pensarci bene più che una voglia si tratta di una tentazione che si fa più forte quando sembra girare tutto male e si fa uso dei mezzi più impensati per farmi cadere. Ammetto che tutto non sia sempre rose e fiori: la vita di un hogar è molto più complicata di quello che uno può pensare, quando sembra andare tutto liscio ecco arrivare una nuova sfida a cui non sono preparato e ritocca ripartire, a volte senza aver il tempo di riprendere fiato. Il senso di sentirsi inadeguato si fa forte, ci sono periodi in cui non riesco proprio a capire i ragazzi ed i loro atteggiamenti, il loro comportamento e non ho la possibilità di confrontarmi con chi viene dalla mia stessa realtà, parlando la mia lingua: non si tratta di sminuire l'aiuto che mi offre Liliana, a cui sono molto grato, ma ci sono occasioni in cui non parlare italiano mi limita perchè non riesco a esprimere tutto quello che ho dentro.
Penso a quanto mi sono ammalato, in quel momento ho avuto davvero paura, specialmente quando mi hanno proposto di fare il test per vedere se mi ero beccato il covid: panico completo! Lontano da casa, con una situazione sanitaria qui vicina al collasso, cosa avrei fatto? Mi son fatto forza, non potevo fare altrimenti, anche se continuavo a chiedermi cosa facessi ancora qui, ancora non mi è chiara la ragione della mia presenza. La paura continua a ripresentarsi quando arrivano le notizie sull'incerta situazione politica e mi assilla, facendo uso anche delle chiamate di persone care preoccupate per me che mi consigliano di prendere quel benedetto aereo per l'Italia. Fortuna vuole, almeno dal mio punto di vista, che il governo boliviano continui a prorogare il blocco dei voli per l'Europa: è un segno, ne sono convinto, che mi avvisa di come sia ancora lontana la parola fine al mio stare qui, anche se continuo a non capirne il motivo.
Di fronte a quell'Uomo in croce non posso fare a meno di pensare a quanto forte sia questa tentazione, soprattutto quando i ragazzi mi rispondono male o mi mancano di rispetto oppure quando mi sono ritrovato davanti a diverse situazioni a dir poco piacevoli negli ultimi mesi. Mi ripeto che voler far del bene costa, è difficile soprattutto quando la strada si fa in salita ed è piena di buche... Gli ultimi due anni mi sono ritrovato ad affrontare coi ragazzi un blocco che ha paralizzato per 21 giorni il Paese ed una pandemia mondiale con tanto di quarantena, mi sono ammalato due volte di dengue ed ho cinque punti su un dito: all'orecchio una vocina mi bisbiglia che ho già dato, perchè continuare? Non ho una risposta, vorrei dare ragione a quelle parole e lasciare, tanto il mio l'ho fatto, ma sono testardo: ho fatto una promessa e mi sono fatto strumento, non posso mollare tutto proprio adesso. Ho la sensazione di essere qui per un motivo ben preciso, sebbene non abbia la più pallida idea di quale sia, e mi sembra che quella statua posta al centro della chiesetta mi scruti e sappia benissimo quello che passa nella mia testa. Mi fermo a fissarla, pian piano la mia mente si svuota, abbandono ogni cosa mentre guardo quell'immagine e capisco che nulla può essere più forte dell'amore che racchiude.
Non so quanto tempo sia passato ma comincio ad avvertire in me una buona sensazione, mi sento più libero, è come se il mio cuore si fosse alleggerito di un peso che da tanto, troppo tempo, lo opprimeva. Con la mente ritorno al grande regalo ricevuto appena un giorno fa, il Giovedì Santo: all'ultimo non è potuto venire il sacerdote per cui, nonostante un pizzico di amarezza, mi organizzo per dare ai ragazzi una catechesi su cosa si ricordi in quella giornata. Su suggerimento di Liliana mi convinco a rievocare uno dei momenti cardine, la lavanda dei piedi: l'avevo già fatto molto tempo fa, all'epoca ero l'animatore di un gruppo di giovani post cresima ma stavolta ha un sapore del tutto differente visto che quel gesto mi sarei rivolto ai fanciulli che mi sono stati affidati, a dei ragazzi feriti nel profondo, abbandonati e vittime lor malgrado dell'ingiustizia del mondo. Ho scelto quelli più inquieti, quelli che danno più grattacapi perchè sono proprio quelli più difficili da amare visto che ti rispondono dietro, ti fanno arrabbiare e non fanno quasi mai quello che vorresti che facciano. Ho scelto anche chi è diversamente abile semplicemente per il fatto che è il primo da difendere e da proteggere, anche se a volte il suo essere differente mi interroga e mi mette alla prova. Lavare quei piedi è stato liberatorio, mi ha acceso e solo ora comprendo l'importanza di quel gesto: mettersi a servizio di chiunque, soprattutto dei più poveri, dei sofferenti, dei più deboli anche se costa e chiede di mettersi in gioco per completo, mettendosi a nudo con i propri pregi e difetti. E' un atto d'amore che sarebbe troppo facile fare solamente con chi ti è amico e lo capisco soltanto ora. E' un gesto che chiede molto ma ti riempie e non c'è tentazione che tenga: di colpo le paure, i tentennamenti svaniscono per fare spazio alla convinzione che in tutto questo non sono solo, c'è Qualcuno che mi accompagna e mi ha voluto qui per farmi Suo strumento, anche a costo di mandare all'aria i progetti che mi ero fatto e la cosa buffa è che di questo ora non mi importa proprio nulla!
Rialzo gli occhi e ritrovo davanti a me quell'Uomo in croce, non riesco a distogliere lo sguardo da Lui mentre mi scopro a ringraziare per quei momenti bui, per le difficoltà quotidiane, per il senso di paura e smarrimento che mi pervade, per le mie debolezze, per tutto: ora so che l'aereo può attendere ancora un po'.
Har baje
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