sabato 9 maggio 2020

Clima surreale

Già mi ero fatto un'idea sentendo le parole di Liliana e leggendo le notizie che in questi mesi mi arrivavano in Italia ma ieri sono rimasto incredulo davanti a quanto ho potuto vedere recandomi a Santa Cruz... Una città deserta, poche macchine in giro, la maggior parte dei negozi chiusi mentre c'erano code lunghissime in quei pochi che erano aperti e per andare in banca: ero basito, credevo che stessi facendo un brutto sogno dal quale mi sarei presto svegliato ma invece era tutto vero!
Io e Liliana siamo partiti presto perchè dovevo comprare il necessario per la manutenzione del centro e le scorte che avevo in magazzino ormai erano finite: non potevo andare in una delle ferramenta qui vicino visto che ciò di cui avevamo bisogno era molto ed il prezzo di solito risulta maggiorato rispetto al centro, inoltre non c'era la garanzia che avrei trovato tutto quello che ci serviva. Onestamente avevo pensato che saremmo andati la settimana prossima ma c'è stato un piccolo malinteso con Liliana per cui mi sono ritrovato in macchina dopo aver ripassato velocemente la lista delle cose da comprare mentre stavo attento a non dimenticare di indossare tutto ciò che mi avrebbe in qualche modo protetto in quest'uscita, dalla mascherina alla maglietta a maniche lunghe.
Prima di imboccare la strada principale che ci avrebbe portato in città è filato tutto liscio, abbiamo soltanto incrociato un paio di auto e visto gente che stava facendo la coda per comprare la verdura e per entrare in una farmacia mentre per il resto quello che più colpiva era il fatto che le vie erano deserte, non c'era nessuno nemmeno nella piazza del paese! Eravamo tesi, ci ripetevamo che non dovevamo dimenticarci niente e di fare tutto quello che era possibile per non tornare ad uscire mentre ci raccontavamo le ultime novità sull'epidemia in Bolivia: sapevamo che a differenza di altri non avevamo un'autorizzazione vera e propria per circolare ma eravamo in qualche modo obbligati a farlo.
Passati appena due chilometri sulla via principale arriviamo ad un blocco della polizia: ci fermano, Liliana mostra il suo permesso e fanno cenno che va bene, poi mi indicano e chiedono di me: panico! So che non dovrei trovarmi fuori dal centro visto che il numero finale della mia carta d'identità non me lo consentirebbe (potrei uscire solo il lunedì in base a quanto stabilito dal Governo) e subito penso che stavolta sono proprio nei guai e che, nelle migliori delle ipotesi, mi avrebbero rimandato al centro con una bella romanzina. Liliana gli spiega che siamo di un hogar e che dobbiamo fare delle commissione per cui non può andare da sola ed ha bisogno di me: l'agente ci guarda, fissa poi il logo del centro stampato sul veicolo e fa cenno al suo compagno, armato di fucile, di lasciarci passare e non possiamo far altro che ringraziarlo. Ci fermeranno altre tre volte ma al solo vedere lo stemma dell'hogar non ci fanno problemi.
Nel tragitto penso che ormai erano passati quasi due mesi dall'ultima volta che ero passato da quelle parti e mi colpisce il fatto che non sono molti i veicoli che circolano, c'è gente in coda nelle farmacie e nelle banche: tutti rigorosamente distanziati e qualcuno con la mascherina. Non è la Santa Cruz che conosco e mi viene naturale paragonare questa situazione a quella del paro indefinido: lì però c'era molta più gente che camminava o andava in bicicletta! Noto grandi raggruppamenti soltanto dove in qualche piccolo spazio dei venditori ambulanti hanno parcheggiato i loro veicoli carichi di verdura e di generi alimentari e sorrido nel vedere che si sono organizzati per cercare di disinfettare i potenziali clienti che gli si avvicinano.
Raggiungiamo quella che è conosciuta come “feria del ferretero”, dove ci sono tantissimi negozi in cui si può trovare tutto quello di cui uno ha bisogno a prezzi convenienti, ma scopro a malincuore che la peggiore delle ipotesi che mi ero fatto è diventata realtà: è tutto chiuso, tutte le saracinesche sono abbassate! A dire il vero c'è qualcosa che è aperto ma è sul lato opposto di dove di solito vado a comprare... Pazienza, devo fare di necessità virtù! Per assicurarmi gran parte di quello di cui abbiamo bisogno devo andare in quattro rivendite differenti, tutte accomunate dal fatto che ci parliamo attraverso le mascherine, una cosa del tutto nuova per me, la trovo alquanto bizzarra e non posso non pensare a quante volte sarà capitato ai miei amici italiani di ritrovarsi in questa stessa situazione. In tre esercizi non mi hanno fatto nemmeno entrare: dovevo dire soltanto ciò di cui avevo bisogno e, se ce l'avevano, me la portavano appena fuori del loro ingresso e sempre lì avrei fatto il pagamento e ricevuto la fattura. Solamente nell'ultimo posto mi hanno fatto entrare, dopo aver fatto un po' di coda visto che potevano accedervi solo due persone alla volta, e mi hanno aiutato a caricare la spesa in auto: mi è sembrato un piccolo ritorno alla vita di sempre.
Nel ritornare a casa guardo dal finestrino luoghi dove di solito passeggiavo il martedì e qualche ristorante che ora per la quarantena è chiuso, mi assale una specie di nostalgia che mi fa chiedere quando si potrà ritornare a poter salire al centro magari per un gelato ma so che purtroppo a questa domanda non c'è risposta, posso solo sperare che questa emergenza possa terminare al più presto e che non coinvolga troppe persone. Continuo a osservare quei piccoli mercati di verdura, frutta e cibo improvvisati e provo tristezza nel vedere che tutto è chiuso e che le strade praticamente sono deserte quando di solito sono brulicanti di vita: tutto per qualcosa che non riusciamo nemmeno a vedere, è qualcosa davvero difficile da credere!
Decidiamo di provare ad andare al supermercato per comprare qualcosa che serve in hogar ma desistiamo: la fila è lunga, anche perchè ci sono degli addetti che stanno disinfettando con del liquido chi deve entrare, e perderemmo del tempo prezioso. Abbiamo fatto tre tentativi in altrettanti posti differenti ma il risultato è stato sempre lo stesso, inoltre il fatto che i parcheggi sono strapieni ci fa rinunciare per il rischio di essere contagiati e di portare il virus ai ragazzi vista la calca di persone che è andata a fare la spesa. Ci ripromettiamo di dover partire molto presto una mattina della prossima settimana per evitare i grossi affollamenti di gente che si possono presentare negli ipermercati.
Quando arriviamo al centro personalmente tiro un respiro di sollievo perchè tutto è andato liscio, non ho potuto comprare il materiale necessario per riparare le scarpe ma non ne faccio un dramma, mi disinfetto così come provvedo a farlo con tutto quello che ho acquistato prima di entrare: mi sento più al sicuro, la tensione che qualcosa potesse andare storto svanisce e mi riprometto che ora sarà meglio rifornirsi qui vicino, se mai ne avessimo bisogno, e cercare di ridurre ancor di più le uscite per evitare ogni rischio. Oggi però ho dovuto nuovamente andare fuori: ero restio a farlo perchè qui nei fine settimane nessuno è autorizzato a uscire di casa ma c'era un'emergenza dovuta al fatto che ad una bambina si era staccato un pezzo dell'apparecchio e le faceva male. Liliana mi ha detto di portarla dal dentista e sinceramente ero perplesso: se mi fermavano cosa mi sarebbe successo? Mi ha rassicurato e poi era per il bene della fanciulla, non poteva stare così per chissà quanto tempo per cui mi son fatto coraggio e l'ho portata. In fondo dovevo fare solo due chilometri: le ho fatto mettere una mascherina e ho guidato con un po' di ansia. La strada era completamente deserta, una cosa surreale: abbiamo solo incrociato due persone, di cui una priva di qualsiasi protezione ed alla cui vista la ragazzina mi ha chiesto il motivo di quella mancanza... Non sapevo che risponderle, l'unica cosa che mi è venuta in mente è dirle che la gente a volte non si ricorda cosa dovrebbe fare per il suo bene e magari non ha nessuno che glielo ricordi: deve ritenersi fortunata perchè ha accanto più di qualcuno che si preoccupa e le ricorda cosa è meglio per lei, soprattutto in momenti come questo.
Non siamo stati molto dal dentista, anche se il tempo trascorso lì mi pareva interminabile, e non abbiamo trovato nessun intoppo nel ritorno: eravamo gli unici in giro... Non c'era nessun altro, nemmeno i numerosi cani che di solito affollano le vie stando accovacciati ai lati: c'era un silenzio assordante che rendeva davanti a me questa situazione assurda, difficile da credere che sia reale e che mi spinge a chiedere invano quando potrà finire.
Har baje

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