mercoledì 26 agosto 2020

A proposito di mascherina

L'altro giorno sono passato per la piazza principale di Santa Cruz: quanto tempo è trascorso dall'ultima volta che mi era capitato! Ad occhio e croce erano 5 mesi che non bazzicavo per quelle parti, praticamente da quando il governo ha dichiarato la quarantena per il coronavirus: da quel momento le mie uscite si possono contare sulle dita di una mano. La novità rispetto alle volte precedenti era di essere uscito da solo per delle commissioni e sebbene dovessi darmi una mossa per cercare di fare tutto il prima possibile avevo più tempo per guardarmi attorno.
Noto come il traffico è tornato caotico come sempre, forse ancora di più per il fatto che in molti diffidano di prendere i mezzi pubblici, e la maggior parte dei negozi e ristoranti sono aperti ma solo pochi presentano dei cartelli o dei fogli appesi all'ingresso dove viene spiegato che l'accesso è permesso soltanto a chi usa la mascherina: in alcuni casi nemmeno i dipendenti stessi la indossano, come mi è capitato quando ho portato degli estintori a ricaricare e la cosa mi ha sorpreso visto che si trattava di un'impresa che lavora nel campo della sicurezza. In alcuni posti si può accedere soltanto dopo essere stati sottoposti al controllo della temperatura e disinfettati dalla testa ai piedi con un preparato di acqua ed alcool ma tanta scrupolosità contrasta con quei tre o quattro a volto scoperto, privi di qualsiasi protezione, che incrocio non appena esco da lì. 
Si avvicinava l'ora di pranzo e, sapendo che non sarei tornato presto al centro, ero tentato di fermarmi da qualche parte a mangiare ma onestamente mi è passata la voglia vedendo i locali dove volevo andare strapieni e con i tavoli tutti attaccati e senza un minimo di distanza l'uno con l'altro: mi è venuta un po' di paura ed ho preferito evitare qualunque rischio.
Passeggiando tra una via e l'altra non mi passano certo inosservate le code lunghissime alle banche ed alle catene delle farmacie più famose, dove tutti rispettano le distanze di sicurezze e che mi fanno desistere dal tentativo di provare a chiedere se hanno in magazzino dei farmaci che non riesco a trovare nelle rivendite vicino a casa. 
Vedo tanta gente senza dimora che agli incroci ed ai marciapiede chiedono l'elemosina, c'è ancora quella vecchina vestita di borse di plastica che tende la mano ad ogni automobilista e non posso fare a meno di osservare le loro espressioni più stanche, più rassegnate rispetto a quanto ricordavo. Persino la piazza ha un'aria più tetra: non c'è tutta quella marea di gente che di solito la riempie, le panchine sono vuote, non ci sono nemmeno molti piccioni e le porte della cattedrale sono chiuse, quando di solito sono aperte per dare la possibilità a chiunque di entrare. Si respira nell'aria che c'è paura, anch'io ne ho, perchè sebbene le cifre ufficiali dicano che i casi qui stanno calando la realtà è ben diversa: non si fanno molti tamponi perchè scarseggiano, una notizia di ieri diceva che dai pochi test fatti risulta che un abitante di Santa Cruz su quattro risulta infetto ed in effetti la sensazione è che gli ammalati siano molti di più di quelli ufficiali. A confermare questi sospetti è stato il fatto di essere stato all'ospedale la scorsa settimana per permettere al bambino affetto da artrite di cominciare il trattamento con un nuovo farmaco: molti reparti erano off limits in quanto ospitavano pazienti con il covid mentre dove era consentito l'accesso i controlli erano molto severi.
Continuo ad osservare mentre il mio respiro si fa più pesante e non è per il caldo né per la mascherina: il motivo è quella specie di muta impermeabile che indosso per uscire e mi fa sembrare un grosso bebè o uno di quei personaggi di un vecchio ma famoso programma infantile, facendo scoppiare dal ridere i ragazzi e lo stesso personale. Non è facile muoversi con questa tuta, soprattutto sotto il sole mi sembra di fare la sauna camminando visto che sudo talmente tanto da credere di essere appena uscito dalla doccia, ma lo faccio non tanto per pigrizia, perchè dovrei mettere a lavare tutti i vestiti una volta tornato in hogar, ma per proteggere me ed i ragazzi: non me lo perdonerei se facessi ammalare uno di loro per una mia leggerezza. La cosa che mi rinfranca è sapere che sto facendo la cosa giusta e vedere molti altri andare in giro abbigliati come il sottoscritto. 
Torno a casa, scendo dalla camionetta e subito mi faccio disinfettare con tutte le borse di quello che ho comprato: tutto quello che entra nel centro deve subire questo trattamento, di solito a compiere questo operazione è il sottoscritto ma stavolta devo farmi aiutare perchè sono io quello che sono uscito ed è importante prevenire. Subito vado a togliermi la muta, mi sento libero anche se in un mare di sudore, ma non la mascherina: me la cambio ma non posso fare a meno di indossarla visto che ci sono delle norme dettate dalle autorità che vanno rispettate. Tra queste regole c'è l'obbligo per tutti coloro che lavorano negli hogar di indossare una protezione del volto e non importa se uno ci vive e, come nel mio caso, sia uscito praticamente una volta al mese: è per tutelare la salute dei bambini. Ad essere sincero non è che ho fatto i salti di gioia quando ho saputo di questo ma bisognava fare buon viso a cattivo gioco: in fin dei conti avendo contatto con la gente di fuori che porta qualche donazione e con il personale stesso che alterna 10 giorni di lavoro qui ed altrettante giornate a casa sono potenzialmente a rischio, inoltre posso godere di alcuni strappi alla regola rispetto a tutti gli altri per cui non mi posso certo lamentare. La cosa importante è che io stia bene e lo stiano anche i ragazzi: se mettermi una mascherina per tapparmi naso e bocca può aiutarmi in questo, perchè non farlo?
Har baje

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