martedì 5 luglio 2016

Operazione a sorpresa

Sabato ho avuto l’ennesimo incontro ravvicinato con la sanità boliviana: ho dovuto portare d’urgenza alla cassa di salute uno dei ragazzi più grandi, in preda a un forte dolore allo stomaco che lo faceva contorcere di continuo.
Tutto inizia quando mi dicono che a D. gli fa male la pancia ed io gli rispondo di avvisare Sandra, l’addetta all’infermeria, visto che era in hogar. Non passano cinque minuti e vedo don Claudio, che stava venendo verso di me, voltarsi ed iniziare a correre: non ci penso nemmeno due volte, lascio quello che stavo facendo e mi dirigo velocemente nella stessa direzione del nostro multifunzionale. Mi allarmo di quanto vedo: il ragazzo è sollevato da un muratore che sta facendo dei lavori nel centro e da un educatrice, si dimena e grida per quanto soffre… Non ci penso nemmeno un secondo, aiuto a portarlo in infermeria prendendolo per le gambe mentre scorgo Sandra precipitarsi ad aprire la porta: lo mettiamo nel lettino, cerchiamo di somministrargli qualcosa che possa aiutarlo ma è troppo agitato, continua a contorcersi e la decisione è quella di portarlo all’ambulatorio qui vicino o all’ospedale.
Lo carichiamo nella camionetta, con qualche difficoltà visto che non smette di dimenarsi e mi supplica, urlando, “Marco aiutami!” e “Fate presto, mi fa troppo male!”. Partiamo con Sandra che cerca di tranquillizzarlo, senza alcun risultato, e quando arriviamo al poliambulatorio scopriamo che è chiuso… L’unica soluzione è dirigersi alla cassa nazionale di salute, per intenderci un ospedale, che dista circa 10 chilometri: la sfortuna ci accompagna visto che becchiamo rosso ad ogni semaforo e rimaniamo bloccati nel traffico. Nel frattempo D. continua a urlare per il dolore, non riesce a star fermo e comincia a vomitare. Sono preoccupato, non ho mi visto uno star male così e, mentre guido, aiuto Sandra a farlo parlare in modo che non perda conoscenza.
Dopo circa una quarantina di minuti arriviamo a destinazione, scendo dal veicolo e chiedo ad un poliziotto di aiutarmi a far scendere il fanciullo perché non riesce a muoversi e sta per svenire. Mi risponde che mi sono fermato nel posto sbagliato, che devo andare al pronto soccorso e, per accedervi, devo fare il giro dell’isolato…. Poco male, faccio quanto mi ha detto e, all'entrata, chiedo di aprirmi il cancello perché non riesco a portare in braccio uno di 14 anni privo di sensi. Parcheggio mentre Sandra va allo sportello per dire il motivo per cui siamo lì, nel frattempo D. sviene così cerco una barella e due guardie mi aiutano a caricarlo sopra.
Il ragazzo riprende i sensi e comincia nuovamente a gridare che gli fa male da morire lo stomaco, i medici gli somministrano un calmante e lo mettono in una stanza. E’ mezzogiorno passato e stanno facendo disinfestazione per le zanzare per cui le prime analisi per fare una diagnosi sono fissate per le 14.30. Non resta che aspettare e andare di tanto in tanto a rassicurarsi che D. cominci a stare meglio. Col passare delle ore mi chiedo cosa può essere successo perché l’adolescente, prima che cominciasse a star male, mi aveva aiutato e l’ho dovuto richiamare perché per più volte si era arrampicato su un albero, per cui non c’era stato nessun sintomo che presagisse quanto accaduto. Non riesco a non essere preoccupato ed il non sapere niente sta iniziando ad innervosirmi.
Visto che Sandra è l’addetta all'infermeria, è lei che va a vedere più volte il fanciullo e a provare a parlare coi medici mentre io lo faccio in una sola occasione, giusto il tempo per strappargli un sorriso ed aiutarlo a bere un bicchiere d'acqua. Una volta avuti i primi risultati alle 18 gli fanno un’ecografia: rimango un po’ stupito perché per me era una delle prime cose da fare e non bisognava aspettare 6 ore per arrivare a questa conclusione… C’è un po’ di movimento intorno a lui e siamo allarmati ma non ci vogliono dire niente perché devono aspettare il primario che valuti il loro operato! Manca poco alle 20 e non sappiamo ancora niente: telefono a Liliana per avvertirla, anche se questo fine settimana si trova in viaggio, e per farmi consigliare sul da farsi. Sandra va a vedere se i risultati dell’urina sono pronti e proprio in quel momento ci chiamano. Non mi resta che andare da solo: una volta entrato nella sala dove si trova ricoverato il ragazzo mi dicono che devono operarlo d’urgenza perché dall'ecografia risulta avere un’appendicite molto grave e complicata da rimuovere. Vado a cercare Sandra e la informo, si firmano i documenti necessari per autorizzare l’intervento e si va a prendere quanto occorre al chirurgo. Nel frattempo Liliana ci contatta e dice che ha informato il padre del giovane, che verrà a sostituirci ed a passare la notte col figlio. Sono quasi le 21, chiamo il guardiano notturno per avvisarlo che non so quando ritorno al centro e di rassicurare i fratelli che D. sta bene, anche se dovrà andare sotto i ferri. Nel frattempo l’operazione ha inizio e quando arriva il papà non è ancora finita: una volta informato di tutto, torno all’hogar. Sono le 23 passate, sento tutta la stanchezza di quelle ore passate in attesa che qualcuno mi dicesse qualcosa però non riesco a dormire, i miei pensieri e le mie preoccupazioni vanno per quel ragazzo che ho lasciato in sala chirurgica.
Domenica mattina chiamo il padre di D. e mi dice che l’intervento si è concluso dopo la mezzanotte e il giovane sta bene. Informo i suoi due fratelli e non c’è nessuno che non mi chieda come stia. Decido di andargli a fare visita, atto doveroso in quanto responsabile dell’hogar in mancanza di Liliana ma soprattutto perché suo amico. Una volta giunto all’ospedale, mi dirigo al quarto piano dove l’avevano portato: lì mi dicono che non c’è e di andare al pronto intervento. Anche lì non lo trovo, vado quindi all’ufficio informazioni per sapere dove lo posso trovare: la risposta è al quarto piano, letto 104. Con questi dati ritorno al piano interessato e gli dico che chi sto cercando è proprio lì: l’infermiera, un po’ scocciata, mi fa entrare dicendo di cercarlo tra i vari letti che sono in corridoio, visto che stanno facendo disinfestazione, e che se non lo trovo lei non può farci niente. Cammino tra i vari pazienti fino ad incontrarlo: non ha molta voglia di parlare, gli hanno messo tre tubi di cui uno nella punta del naso, però confessa che non si ricorda granchè il motivo per cui era lì e con dispiacere ha scoperto che gli hanno tagliato la pancia. Gli spiego per filo e per segno tutto l’accaduto e mi risponde che ha fame, purtroppo però anche per oggi il dottore ha detto che non può mangiare! Mi congedo da lui contento di averlo visto e soprattutto sincerandomi del fatto che stia meglio.
Il racconto non finisce qui: oggi ho saputo che D. non è stato operato all’appendicite ma per una perforazione dell’intestino! Il peggio è che non ho altre notizie perché non ci fanno parlare col primario, o meglio, per parlare con lui bisognerebbe entrare nel reparto dove sta il ragazzo in un orario in cui è proibita qualsiasi visita ed i poliziotti non fanno entrare nessuno: un'assurdità! La sola certezza è che il ragazzo dovrà tornare in hogar e non potrà andare in vacanza dalla sua famiglia come i suoi due fratelli e qualche suo amico: questo per dargli maggior assistenza in modo che si rimetta al meglio. Una misura difficile da prendere, anche perchè l'interessato non vedeva l'ora di andare a casa per qualche giorno, ma necessaria per il suo bene.
Har baje

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1 commento:

  1. Sono davvero senza parole. ...ma come si fa a combattere con questa situazione? ....
    Il Signore ti dia la forza di non mollare!
    Antonella, san Nicolò, mira

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