Sarà che le cose da fare sono tante e sto cercando di dare il
massimo, sarà che in questo periodo avverto un po' di nostalgia di
casa alimentata anche dal fatto che al mio paese si sta
festeggiando il Santo Patrono, sarà che i bambini ultimamente non
sembrano ascoltarmi troppo e non mi lasciano tranquillo nemmeno per
un momento, sarà che ci si imbatte in brutte sorprese (si è
scoperto che il Comune non ci pagherà più la corrente soltanto nel
momento in cui l'azienda elettrica si è presentata per tagliare
l'allacciamento), fatto sta che in questi giorni avverto la necessità di fare
una piccola riflessione e mi sto ponendo una serie di domande del
tipo: sto davvero condividendo qualcosa con i ragazzi? O meglio penso
più alle cose da fare e rischio di trascurarli, venendo meno ad uno
dei motivi per cui sono qui? Riesco davvero a trasmettere loro
qualcosa e a farmi capire, visto che ci sono momenti in cui non mi
fanno caso? Come Cristiano sto realizzando, o perlomeno cerco di
fare, quanto il Signore mi ha chiesto quando mi ha chiamato ad
occuparmi di questi fanciulli?
A volte ho l'impressione di dare maggior importanza alle cose che
ai bambini, perchè tento di offrire loro il meglio possibile e mi
preoccupo che quanto hanno a disposizione sia in buone condizione e
permetta loro di disporne al massimo della loro potenzialità. Capita
che mi sento impotente quando li sento dire che hanno freddo o fame o
li vedo tremare o indossare magliette strappate, scarpe o ciabatte
rotte, vorrei fare di più ma non posso, o meglio non ne sono in
grado: in quei momenti mi affido alla Provvidenza, che spesso ci
aiuta tramite donazioni di tanta buona gente.
Non mancano i momenti in cui preferisco stare coi ragazzi,
soprattutto in occasione della merenda e del gioco: quando si
avvicinano, tralascio quello che stavo facendo per ascoltarli e
rimanere in loro compagnia, scherzando e rispondendo alle tante
domande che, spinti dalla curiosità, mi fanno. E' in questi momenti
che trovo una risposta alle domande di questi giorni: le risate e il
divertirsi durante il gioco, il cercarmi per dirmi com'è andata la
scuola o per essere curati da una ferita o da un mal di pancia, il
venirmi incontro quando mi vedono, la fila per ricevere la buonanotte
al termine della preghiera finale mi dicono che sto creando una vera
condivisione con loro. Ciò è avvalorato da un fatto capitato questo
venerdì: alcuni non avevano i compiti da fare o li avevano terminati
e, invece di giocare, mi hanno visto lavorare e son venuti a
chiedermi se potevano aiutarmi. Potevano tranquillamente stare nel
loro salone a giocare ma volevano stare con me, il loro amico
italiano che a volte vedono un po' come fratello maggiore e a volte
come un papà: come potevo negargli questo loro desiderio?
Ammetto che a volte mi fanno arrabbiare perchè ne combinano di
tutti i colori, rispondono male e non mi ascoltano ma devo ricordarmi
che prima di tutto sono dei bambini, da amare così come sono: se li
riprendo o li castigo è perchè gli voglio bene e desidero il meglio
per loro sperando che così da grandi possano diventare delle belle e
buone persone. Ed è proprio l'Amore la risposta ai miei tanti dubbi:
se in ogni cosa che faccio e nei rapporti con ciascuno di loro cerco
di metterne un po', anche se a volte è difficile, posso costruire
qualcosa con i ragazzi. I risultati probabilmente non si potranno né
vedere né toccare e si chiamano rispetto, stima, condivisione,
affetto ed amicizia: il mio essere qui è essere me stesso, con i
miei pregi ed i tanti difetti, donando agli altri le mie qualità
senza chiedere nulla in cambio, soltanto per la gioia di farlo e
nella consapevolezza che soltanto così si può cambiare il mondo.
Har baje
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