Durante queste settimane in Italia spesso la prima domanda che mi fanno è sulla situazione attuale della Bolivia, specie sulla pandemia, e questo mi ha dato lo spunto per cercare di fare un riassunto di quello che sono stati gli ultimi due anni.
Attualmente il paese sta attraversando una nuova ondata di contagi con numeri mai visti in precedenza: aveva iniziato timidamente a novembre ma l'altro giorno è arrivata a superare la soglia di 11.000 positivi giornalieri, cifra di molto superiore rispetto a quanto era avvenuto in passato ma da prendere con le pinze visto che sono molte le zone dove farsi un tampone è quasi impossibile, e Santa Cruz è al centro della tempesta, visto che registra più della metà dei casi. Leggo che alcuni ospedali non sono più in grado di garantire il servizio, non tanto per il numero di pazienti che arrivano ma per quello del proprio personale che risulta ammalato: a rendere le cose più complicate inoltre ci sono il periodo delle influenze e delle piogge, che sta provocando più danni rispetto al passato. E' in questo contesto che si registra una massiccia corsa alla vaccinazione: code chilometriche davanti ai centri autorizzati, anche solo per un tampone, e per non perdere il proprio posto non manca chi dorme in strada durante la notte.
Questa è la situazione ad oggi ma vale la pena riassumere quanto ho vissuto in prima persona da febbraio 2020: sono arrivato all'aeroporto di Santa Cruz venendo a sapere che il Veneto, la mia regione, era divenuta zona rossa e da lì a poco lo sarebbe stata tutta l'Italia. Provavo sentimenti contrastanti che la presenza dei ragazzi mi aiutava a mettere da parte ma tornavano subito a galla quando veniva qualche benefattore all'hogar e, una volta saputa la mia origine, mi guardava con una certa diffidenza. Più o meno mi si vedeva con sospetto come lo si faceva coi cinesi all'inizio di tutto questo: Liliana mi raccontava che dei vicini le chiedevano circa le mie condizioni di salute, visto che ero tornato da poco, e lei li rassicurava. Non ho mai dato peso a certe insinuazioni, sebbene in quel momento l'Italia era sulla bocca di tutti ed a aggravare la situazione si era verificato il caso di una boliviana che aveva accudito un malato terminale di covid a Milano ed era tornata per morire nella sua terra: stavo bene, non avevo alcun sintomo ma mi sono cominciato a preoccupare quando dopo due settimane qualche bambino ha cominciato a star male ed ad avere febbre. Avevo paura di essere asintomatico, di averli contagiati senza volerlo ma per fortuna mi ero sbagliato di grosso e ho tirato un bel respiro di sollievo quando dalle analisi fatte in una clinica avevano preso il dengue, una malattia tipica del periodo.
In quell'occasione ho potuto osservare le prime misure che venivano prese: nei centri di salute pubblici e privati si entrava soltanto con controllo della temperatura e dopo essere stati disinfettati, sebbene non ci fossero ancora focolai nel paese. Ricordo che in hogar ci siamo fatti la falsa idea che con il caldo il virus non sarebbe comparso: ho dovuto ricredermi dopo un paio di giorni in quanto portando il bambino affetto da artrite in ospedale ho scoperto che tutti gli ambulatori erano chiusi a tempo indeterminato e funzionava solo il pronto soccorso. Tempo pochi giorni e lo Stato proclama la quarantena e la conseguente chiusura delle scuole: era marzo del 2020 e da allora i ragazzi sono rimasti in didattica a distanza, con la speranza che forse a febbraio finalmente potranno tornare sui banchi. Nelle prime due ondate gli ospedali pubblici e privati sono collassati: non c'era più posto ed in troppi, anche in barella, erano in fila davanti gli ingressi in attesa almeno di una visita mentre nei mesi di settembre e ottobre le bombole d'ossigeno scarseggiavano e dovevano essere importate dall'estero, per cui davanti ai cancelli dei magazzini dove venivano portate comparivano code chilometriche di persone che aspettavano di comprarne almeno una per i loro cari.
Il primo mese di quarantena in hogar è stato impegnativo: il personale non poteva venire ed in cinque, aiutati dalle più grandi, ci prendevamo cura degli ospiti del centro e per fortuna gli aiuti in cibo, gel e quant'altro non sono mancati grazie alle iniziative personali di qualche gruppo o di privati. Ad un certo punto Liliana ha deciso che così non potevamo andare avanti e si è suddiviso il personale in due gruppi che si sarebbero alternati nel lavorare una settimana sì e l'altra no: potevo tirare un respiro di sollievo sebbene le magagne più grosse nella manutenzione avvenivano giusto nei giorni in cui non avevo il tuttofare e dovevo in qualche modo arrangiarmi e farmi aiutare dai più grandi.
Le cose sono andate via via migliorando con il diminuire dei casi ma eravamo sempre all'erta, visto che tutto dipendeva dall'andamento dei contagi e spesso le misure adottate differivano da comune a comune e spesso il governo centrale contraddiceva le iniziative regionali, ma una cosa era certa: chiunque e qualsiasi cosa che varcava il cancello dovevano essere disinfettati e c'era l'obbligo della mascherina per tutti i dipendenti, cosa che mi ha messo in difficoltà visto che abito in hogar e praticamente dovevo indossarla tutto il tempo. Dovevo farlo per rispetto loro e per dare il buon esempio, anche se onestamente me la toglievo nelle poche occasioni in cui stavo in ufficio o per fare i lavori esterni e che implicavano uno sforzo fisico perchè a 35 gradi mi sentivo francamente soffocare.
I ragazzi per lungo tempo non hanno ricevuto visite dai familiari, potevano ricevere solamente videochiamate sotto la nostra visione, e solamente verso fine 2020 le autorità competenti le hanno permesse nuovamente, ovviamente con un occhio alle misure di biosicurezza, e si dovrà attendere ancora per permettere ai benefattori locali di fare delle attività con loro. Per fortuna non si sono ammalati seriamente, hanno retto bene l'impatto di questa situazione ma pian piano sono venuti fuori i limiti che tutto questo ha portato: sebbene siano abituati a stare in un centro con poche occasioni di tenere contatti esterni, il fatto di non andare a scuola e di interagire coi compagni di classe si è fatto sentire e personalmente vedo in loro un certo distacco dalla realtà, non riescono proprio a capire cosa ci sia fuori dalle mura dell'hogar e delle tante difficoltà che ci possono essere.
Nel 2021 si registravano all'inizio ancora chiusure per monitorare la situazione ma finalmente arrivano i vaccini: al principio solo quelli russi e cinesi, gli altri no o almeno giungevano in quantità molto ridotte. Ricordo che ero un po' scettico vista la loro origine ma, avendo casi di bambini con particolari patologie e volendo proteggerli, ho deciso di vaccinarmi con il siero cinese, l'unico disponibile in quel momento: quando le autorità hanno dato il via libera per la mia fascia d'età, con un gruppo del personale sono andato presso il presidio medico della località dove sorge il centro per sottopormi all'iniezione, facendo il richiamo un mese dopo. Ricordo che l'ho fatta all'aperto e seduto su una delle due panchine a disposizione e vi posso dire che sono letteralmente rimasto a bocca aperta nel vedere il centro di vaccinazione dove in Italia ho ricevuto la terza dose: davvero un lusso, anche se devo ammettere che nella città di Santa Cruz ci sono dei centri che ci assomigliano ma che, nel mio caso, erano difficili da raggiungere per la distanza. Oltre a difficoltà logistiche legate al modo di portare il vaccino in tutto il Paese non manca chi lo rifiuta, in molti casi per motivi storico culturali: ad oggi il 52% della popolazione ha ricevuto una sola dose, 41% ha fatto il ciclo completo e meno del 6% ha fatto il terzo richiamo. A dire il vero non funziona molto nemmeno l'utilizzo della mascherina, visto che non c'era un vero e proprio obbligo: negli ultimi tempi nei mercati spesso ho trovato chi ne era sprovvisto, negozianti compresi, per cui ciascuno è chiamato a salvaguardare la propria salute come meglio crede e in base alle proprie possibilità, magari non avendo proprio scelta come per esempio chi vive soltanto con quanto guadagna nella giornata e comprarsi la più semplice ed economica forma di protezione potrebbe incidere in maniera decisiva sulla possibilità di sfamare i propri figli.
Oltre alle difficoltà dovute alla pandemia si sono verificate tensioni politiche che, in diverse occasioni, hanno portato a blocchi stradali organizzati dalle diverse fazioni: l'ultima, e probabilmente il più lungo, ha quasi rischiato di farmi perdere il volo per l'Italia visto che è successa nei primi giorni di novembre ed è durata poco più di una settimana paralizzando il Paese al fine di impedire l'approvazione di alcune leggi che minavano alcuni diritti dei cittadini. Dal punto di vista economico mi sembra si siano fatti dei passi indietro: vedo molto più spesso gente che vive in strada e di recente ho letto un articolo in cui si dice che la Bolivia è uno dei tre paesi sudamericano in cui si registra un aumento consistente di casi in condizione di estrema povertà.
Le buone notizie però non mancano: nonostante i tempi difficili tra i boliviani non manca la solidarietà, il darsi una mano a vicenda quando è possibile e l'ho potuto apprezzare molte volte; grazie alla rete internazionale sembra che siano arrivate dosi sufficiente per garantire la vaccinazione dell'intera popolazione, inoltre sembra che almeno per ora la situazione sanitaria sembra reggere ancora, a differenza delle volte scorse.
Potrei raccontare tante altre cose ma il mio proposito era di dare un'idea generale di cosa sia successo a Santa Cruz nell'ultimo biennio attraverso quanto ho potuto vivere in prima persona: mi auguro di esserci riuscito!
Har baje
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