Ultimamente le brutte notizie sembrano arrivare sempre di mattina presto ma mai come stavolta avrei preferito che non giungessero proprio a destinazione: appena sveglio dò un'occhiata al cellulare e quasi mi viene un colpo vedendo alcune notifiche che mi sono arrivate da Facebook... Don Giuseppe Minghetti, fondatore dell'hogar dove mi trovo, era morto! Non potevo credere a quanto stavo leggendo, c'è voluta una mail che mi confermasse il decesso per rendermi conto che purtroppo non si trattava di un brutto sogno ma la triste realtà.
Mi sono sentito avvolto da un manto di tristezza, non avevo la forza nemmeno di sorridere, i miei pensieri erano cupi ed andavano quasi tutti nella stessa direzione: speravo che i contatti italiani avessero informato Liliana visto che quando Padre Josè, così era conosciuto il sacerdote da queste parti, è stato ricoverato per una serie di complicazioni era toccato a me avvisarla e c'era rimasta malissimo per il forte legame che li univa in quanto per lei è come un papà. Temevo di non avere il coraggio di darle questa notizia, non sapevo proprio come potergliela dare ma per fortuna stavolta l'hanno contattata, facendomi tirare un respiro di sollievo. Quando l'ho vista arrivare era devastata e sono rimasto con lei per un po' in ufficio, cercavo di consolarla ma non sono riuscito a mirarle molto negli occhi dai quali traspariva un dolore talmente forte che difficilmente sarei riuscito a contrastare: potevo solamente appoggiarla nel fare tutto quello che era necessario per onorare la memoria del fondatore, era doveroso per quanto ha fatto per questi ragazzi.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo quando stavo muovendo i miei primi passi verso quella che è diventata la mia scelta di vita, precisamente nei mesi di agosto del 2007 e 2008: un uomo dalla stazza imponente che poteva apparire a prima vista severo ma aveva un cuore grande per i più piccoli, con una spiccata propensione verso i disabili. Tra ieri e oggi la testa mi si riempie di piccoli aneddoti, di alcuni episodi vissuti in sua compagnia e me li tengo stretti ma ce n'è uno a cui tengo in modo particolare: una domenica l'ho accompagnato a celebrare una messa in una cappella poco distante da qui e ricordo come le strade fossero messe peggio rispetto ad aoggi, fatte di pura sabbia e delimitate da erbe molto alte. Mi ero sorpreso di trovare la chiesetta in mezzo al niente ma era piena di gente. Al termine della celebrazione al Padre viene chiesto se può passare a visitare un'ammalata che non si può più muovere e lui non si tira indietro: nel giro di cinque minuti ci ritroviamo davanti a quella che era una casa fatta di paglia e fango, con il tetto costituito da foglie di palma, ricordo che c'erano molte crepe sui muri da cui entrava la luce del sole. Al suo interno, in una delle due stanze di cui era composta, stava un'anziana distesa su un materasso di paglia e si vedeva che stava molto male: il sacerdote le si avvicina, l'aiuta a mettersi seduta e, prima di benedirla, le parla con affetto. Non riesco proprio a scordarmi quella scena e soprattutto l'amore che Padre Josè ha messo in ogni attimo: mi ha sorpreso il fatto che si sia congedato dalla donna e dai suoi parenti con un grande sorriso, come se fosse soddisfatto di poter essere stato d'aiuto a quella famiglia, ed è così che ha voluto regalarmi una bella lezione di vita.
Una delle cose che più mi ha colpito di lui è il coraggio: prima di essere missionario in Bolivia, lo è stato in Africa e più precisamente in Ruanda, diventando testimone suo malgrado del genocidio che si è verificato in quel Paese. Mi ha raccontato degli orrori di cui è stato testimone, mi ha impressionato vedere scendere dai suoi occhi delle lacrime mentre li raccontava e ancor di più della scelta, fatta a sessant'anni, di lasciare nuovamente l'Italia per aiutare i più poveri: poteva non farlo, in fondo aveva già dato la sua parte in difesa dei più deboli ma ha avuto la forza di dire ancora sì a quello che Dio gli chiedeva. Penso che non sia stato facile, personalmente evito di mettermi in gioco a volte per pigrizia o per mancanza di fegato mentre lui non l'ha fatto e l'ammiro proprio per questo: nonostante l'età e tutto quello che la vita gli aveva già riservato non si è fatto pregare e si è rimboccato nuovamente le maniche, ricominciando da zero. Ha dato molto di sé, ha continuato a farlo anche quando è tornato a Vercelli dandoci spesso una mano senza alcuna pretesa ed è stato premiato dall'affetto della gente, visto che in molti qui ancora ne parlano un gran bene.
La riconoscenza più grande rimane però l'amore dei bambini che ha aiutato negli anni, quelli che ha accolto nel suo centro senza se e senza ma e per molti dei quali è stato un vero e proprio papà : ieri sono venuti in molti qui per il rosario alla sua memoria, per loro è stato un modo per salutarlo un'ultima volta e devo essere grato per essere stato testimone di una manifestazione così grande di affetto. Padre Josè è dentro di loro, resterà vivo nei loro cuori così come il suo ricordo sarà sempre presente in ogni singolo mattone di questo centro perchè il bene che ha fatto non potrà mai essere cancellato, nemmeno dalla morte.
Har baje
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