sabato 11 agosto 2018

Grazie Mision Vida!

L'anno passato, proprio in questi giorni, raccontavo dell'esperienza di Liliana e di suo marito Luis che con un gruppo di amici avevano dato vita a “Mision Vida” allo scopo di aiutare chi più ne ha bisogno e di come avevo dato loro un piccolo contributo. I loro racconti e quanto avevo potuto vedere mi avevano talmente preso che un poco li invidiavo e fatto venire la voglia di vivere questa loro esperienza per cui quest'anno ho deciso di prenderne parte.
Sono stati tre giorni intensi e stupendi, senza contare tutto quello che li ha preceduti: di intoppi ce ne sono stati ma devo dire che ne è valsa davvero la pena! E dire che all'inizio sembrava girare un po' tutto storto: dalle defezioni di qualcuno che per lavoro non poteva partire subito con noi salvo poi raggiungerci successivamente alla pioggia che si è fatta viva dopo quasi due mesi di assenza, al forfait di medici, al ritardo del camion nel quale dovevamo caricare quanto destinato alle popolazioni che saremmo andati ad aiutare fino al fatto che non c'erano letti sufficienti per riposare e non c'era l'acqua nel bagno... Tutte cose che però non hanno sconfortato né il sottoscritto né i miei compagni di questa avventura anzi posso dire che ci hanno dato ancora più forza e convinzione!
Quest'anno il gruppo di Mision Vida si era proposto di recarsi nuovamente tra le comunità presenti nei dintorni di Gutierrez, in paese a circa 220 chilometri da Santa Cruz, per offrire assistenza medica e dentistica e portare viveri, vestiti ed altro che sicuramente sarebbe stato utile: l'idea ha subito calamitato la mia attenzione, memore di quanto avevo potuto vedere coi miei stessi occhi l'estate scorsa e che qualche volta riaffiorava nei miei pensieri. Avevo voglia di poter conoscere meglio quella realtà, quasi dimenticata dalle autorità e raggiungibile solo dopo qualche decina di chilometri percorsi su strade fatte di pura terra ed in cui si mangiava la polvere, vista la forte siccità che ha caratterizzato quest'inverno. Desideravo mettermi in gioco e sapevo che questa era la mia occasione, c'era qualcosa dentro di me che mi spingeva a buttarmi in questa esperienza, era Dio a dirmi che era il momento giusto per farla... Ma se da un lato la cosa mi elettrizzava, dall'altra mi creava più di qualche dubbio o timore: come avrei attaccato bottone con la gente del posto, visto che la maggioranza parlava solo in guaranì, che è il dialetto della zona? Quale sarebbe stata la mia reazione quando mi sarei imbattuto in certe situazioni in cui la dura realtà si sarebbe presentata così com'è senza alcuna pillola che fosse in grado di addolcirla? Come mi sarei relazionato con gli altri compagni di missione, tutti boliviani e che conoscevo soltanto di vista o non li avevo mai visti prima? Sarei stato in grado di portare avanti quanto mi fosse richiesto? I giorni antecedenti la partenza sentivo l'ansia crescere, così come il nervosismo sebbene cercassi di non crearmi aspettative su quanto avevo la fortuna di poter vivere e mi ripetessi continuamente le parole che una persona a me molto cara una volta mi ha detto: “Se Dio ti chiede di fare una cosa, sa che la puoi realizzare”.
Nelle riunioni precedenti la partenza mi viene chiesto di occuparmi di distribuire le medicine alla popolazione sulla base di quanto prescritto dai medici e dai dentisti: la cosa non mi assilla più di tanto visto che anche in hogar me ne occupo e ciò mi ha aiutato a capire quale sia il farmaco migliore da dare in certe situazioni. Ad infondermi più fiducia è il fatto che verrò affiancato da una ragazza del centro che nel fine settimana mi aiuta nel mio servizio di infermeria per cui avrò la fortuna di poter lavorare con chi già conosco ed ho avuto già modo di collaborare. Mi viene ripetuto più volte che la mia presenza sul campo non sarà limitata a questo e che, come tutti, dovrò cercare di instaurare un clima di amicizia con la popolazione e di dare il mio contributo dove ce ne sarà bisogno: la cosa non mi sorprende, non ne so il motivo ma la sola idea mi motiva ancora di più.
Tutto ciò mi stava caricando, anche se le preoccupazioni non ne volevano sapere di svanire, ma il sapere che anche tre fanciulle dell'hogar avrebbero preso parte a questa missione mi motiva ancora di più: ero sicuro che questi tre giorni sarebbero stati importanti per loro e le avrebbero segnate, era un onore essere al loro fianco in quest'esperienza perchè, nel caso ne avessero avuto bisogno, sarei stato lì pronto a tenderle la mano.
Passata la serata del venerdì a caricare il camion, il sabato mattina si parte: ci si sveglia alle 3 perchè ci vogliono minimo 5 ore per arrivare alla prima comunità che ci aspetta... Come da pronostico piove e comincia a far freddo ma, come per magia, quando giungiamo a destinazione compare un timido sole. Allo scendere dal pulmino rimango quasi sorpreso dal numero di gente che ci stava aspettando: li vedo infreddoliti, mi colpiscono i loro volti, i loro sguardi e soprattutto un bambino che ha i piedi scalzi e sporchi dalla tanta polvere che hanno dovuto calpestare.
Tempo di sistemare la zona dove sarebbero stati offerti i nostri servizi e di scaricare il camion e ci presentiamo: all'inizio sono un po' riluttante a farlo, cerco inutilmente di sfilarmi ma poi quando parlo, con tutti quegli occhi che mi fissano, sento fluire in me una grande energia e mi riempio di un grande entusiasmo. L'inizio però non è dei migliori: i farmaci non sono sistemati in modo che possa identificarli subito per cui la mia azione è rallentata, disturbata anche dal stupore che provo ne vedere un immensa fila di gente che aspetta il suo turno di ricevere le cure mediche e poi i viveri ed i vestiti. Anche se non ci sono dottori le due infermiere del gruppo fanno un ottimo lavoro, così come i dentisti, e devo ringraziarle di cuore perchè mi hanno aiutato ad uscire dall'impaccio iniziale e quando potevano mi riempivano di suggerimenti. Ho provato orgoglio e sorpresa nel notare la cura e l'attenzione che una delle fanciulle del centro stava mettendo nello svolgere il compito che le è stato assegnato e che è molto delicato: sterilizzare gli strumenti odontoiatrici. Lo fa in un modo impeccabile per essere la prima volta: da lei non me lo sarei proprio immaginato!
Il tempo passa velocemente, nemmeno me ne accorgo, e solo dopo aver finito scopro che erano passate all'incirca 6 ore e mi accorgo di avere fame quando mi avvisano che ci verrà offerto da mangiare! Non mi aspettavo nulla in cambio ed invece ci viene offerto un capretto e del mais come ringraziamento: una delizia! Non importa se ci ritroviamo a saziarci senza posate né piatti: quanto ci hanno dato è un gesto di amore nei nostri confronti perchè ci hanno donato del loro per ricambiare per quel poco che abbiamo potuto fare. Subito dopo un'altra famiglia ci invita a condividere il pranzo con loro: mangiamo tutti insieme in una comunione fraterna dove tutti eravamo uguali, dove nessuno si sentiva superiore all'altro anzi eravamo noi a dover ringraziare di così tanta generosità... Non riesco a definirla in altro modo perchè quando ti trovi in mezzo a delle abitazioni fatiscenti, fatte di tavole di legno con tetti in lamiera o di tendoni, e non puoi far finta di non vedere con i tuoi stessi occhi che le pentole usate per cucinare sono nere, ammaccate, sporche fino all'inverosimile, i letti coperti da una miriade di vestiti stropicciati ed oggetti, la gente con indosso maglie sudice, rattoppate e con scarpe di fortuna ai piedi capisci che ti stanno offrendo il massimo che è nelle loro possibilità. Mi ricorderò a lungo quella carne servita su una bacinella non proprio pulita e mangiata ancora una volta con le sole mani perchè non c'erano piatti e forchette a sufficienza! Ho avvertito un po' a disagio davanti a questo banchetto: hanno condiviso con me quanto potevano, senza dubitare nemmeno per un istante... Sarei stato capace di fare altrettanto?
Mi sono vergognato quando ho visitato la dimora di una delle più anziane: non riuscivo a capacitarmi di come una persona potesse vivere in quelle condizioni, com'è possibile che nel terzo millennio siano ancora possibili queste situazioni? A distogliermi da questi pensieri ci pensano i bambini della comunità che mi scrutano dalla testa ai piedi con i loro occhi scuri e, quando gli accenno un saluto, mi regalano alcuni dei sorrisi più belli che ricordi.
La sera arriviamo stanchi ma soddisfatti, c'è qualcosa da migliorare e ne discutiamo ma sappiamo con certezza che il giorno seguente sarà sicuramente migliore... La nostra fiducia è talmente forte che non viene intaccata nemmeno quando scopriamo che per il bagno bisogna andare ad attingere acqua da un pozzo poco distante e che per il nostro riposo c'è una stanza con tre letti: poco male, le donne del gruppo, che ne rappresentano i due terzi, dormiranno lì mentre noi uomini passeremo la notte sul pavimento della vecchia chiesa di Gutierrez. Nel vedermi attorniato da statue di santi interpreto questo come un segnale del Cielo: mi fa sentire che non sono solo e che c'è sempre Lui ad accompagnarmi anche quando la strada per fare il bene non è facile ed è ricca di ostacoli ma alla fine del cammino scoprirò che ne è valsa la pena.... In questo caso i miei intralci sono un materasso di paglia molto sottile e il russare di qualche mio compagno ma ci vuole ben altro che mi spinga a darmi per vinto.
La mattina dopo ci rechiamo a Pirirenda, una nuova comunità in cui le missioni precedenti non erano arrivate: anche qui c'è molta gente che ci aspetta. La coinvolgiamo in qualche dinamica per rompere il ghiaccio, per dirgli che non siamo lì sono per un aiuto concreto ma anche per conoscerli e la risposta è molto positiva. Quando cominciamo il servizio subito mi accorgo che le cose sono migliorate e decido di buttarmi: per rallegrare l'atmosfera e tirare su di morale i miei compagni, soprattutto chi deve estrarre un dente o ricettare, cerco di fare un po' di animazione, inventandomi coreografie, cantando e non mi importava nulla se nessuno mi seguiva, quello che più contava era rallegrare gli animi di tutti... Posso dire che ho dato tutto quello che avevo anche quando ci siamo recati nell'altro posto dove era programmato un nostro intervento e non me ne pento: ne ero felice e più mi sentivo così più sentivo crescere in me le energie. Cercavo di accogliere chi veniva da me con la ricetta con un sorriso e coordinavo chi era al mio fianco, dandogli una pacca sulla spalla se sbagliava e dicendogli che stava andando tutto bene, andavo dai dentisti e dagli infermieri a sussurargli qualche bella parola per non farsi lasciare vincere dalla fatica: sembravo una pallottola impazziva che andava, quando poteva, da tutte le parti con l'obiettivo di diffondere il mio entusiasmo. Non tutto andava però come volevo: ho cercato di avvicinarmi ad un bambino ma ho scoperto che non mi capiva, parlava solo in guarani per cui ci siamo scambiati soltanto un paio di sorrisi... Meglio così, non tutto può essere perfetto e l'episodio mi fa capire che c'è sempre da migliorare!
Il lunedì credo sia stata la giornata più faticosa, sarà per la stanchezza accumulata in precedenza che per la voglia di tornare verso casa. Andiamo a Kapirenda con i mezzi che questa comunità ha messo a disposizione: una manna del cielo visto che passiamo un'ora e mezza su strade sterrate che in alcuni tratti definirle dissestate è un eufemismo e ringraziamo perchè non piove altrimenti non saremmo riusciti ad arrivare. Lì siamo attorniati da arbusti secchi, qualche collina e case fatte perlopiù da fango e paglia: c'è la sensazione che qui la popolazione ha un bisogno maggiore rispetto a dove siamo già stati e rimaniamo un poco delusi dal fatto che non siamo in molti ad aspettarci.... Cominciamo con l'animazione ed è difficile coinvolgere chi ci è vicino, quasi scappa al nostro andare verso di loro, appare intimorita: veniamo a sapere che quasi nessuno passa per queste parti, è una località dimenticata troppe volte anche dalle autorità... Parole che pesano come macigni, come è possibile che un governo che si vanta di essere per i poveri non faccia niente in merito? Non c'è tempo però per le critiche, è l'ora di offrire un'assistenza dentistica e medica a quanti sono presenti che paiono moltiplicarsi con lo scorrere dei minuti: quando esco dal locale dove distribuisco le medicine vedo soltanto una fila interminabile fatta di donne, bambini, anziani e uomini che aspettano pazientemente il loro turno. Ne osservo i volti, alcuni arrossati per il freddo, altri induriti dalle fatiche quotidiane e dal passare del tempo... Si può leggere la tristezza e la rassegnazione nei loro occhi ma vi si può intravedere anche una piccola fiammella di speranza che si è accesa al nostro arrivo: mi ricordano in ciò che credo, che sono dei fratelli sfortunati che rappresentano il vero volto di Gesù che mi invita, mi supplica di fare qualcosa per loro.
Non riesco ad essere euforico come in precedenza, la stanchezza si fa sentire ma cerco sempre di sorridere e di augurare una buona giornata a chi mi sta davanti anche se mi sento con le pile scariche. Benedico il fatto che facciamo una piccola pausa per rifocillarci con quanto generosamente hanno preparato per noi e riparto carico facendo battute e scambiando sorrisi con chiunque mi tirasse a tiro, mettendomi ancora una volta in gioco passando tra chi era in fila ad aspettare il proprio turno per distribuire degli antiparassitari, ignorando quell'odore pregnante di sudore e di sporco presente nell'aria: d'altronde anch'io non mi lavavo da tre giorni, di cosa potevo lamentarmi?
Le medicine cominciamo a scarseggiare ed avviso le infermiere: è davvero avvilente ritrovarsi a dover dare soltanto una piccola parte di quanto ricettato e non riesco quasi a guardare in faccia il mio interlocutore per dirglielo ma lui, rassegnato, capisce e non fa una piega perchè almeno sa qual'è il malessere di cui è affetto. Quando finiamo con l'ultimo paziente quasi non ci credo ma devo rapidamente tornare alla realtà quando mi informano che uno dei mezzi che ci aveva portato fin qui non c'è per cui tutti dobbiamo salire sulla camionetta con le poche cose avanzate: si sta facendo scuro, il freddo si fa più intenso e non è una passeggiata stare nel vano scoperto del pick up ma è l'allegria che ho nel cuore, così come quella dei miei compagni, a far sopportare quest'ultima difficoltà.
Nel tornare verso casa ripenso a questi giorni e mi rendo conto come mi senta bene, nonostante le fatiche: sono felice, forse come non succedeva da tanto tempo, e sono soddisfatto che tutto sia filato liscio, di come le difficoltà hanno tirato fuori il meglio da ciascuno dei componenti della missione perchè il nostro scopo era stare al servizio di chi aveva più bisogno, di condividere qualcosa con loro. Abbiamo lavorato da squadra, ci siamo aiutati a vicenda quando ce n'era il bisogno, soprattutto siamo stati il braccio di tante persone che desideravano fare qualcosa per questa gente e non ne aveva la possibilità: sono davvero contento di aver vissuto quest'esperienza e ringrazio davvero di cuore Liliana, Luis e tutti gli amici di Mision Vida per avermi dato la possibilità di condividere con loro quest'avventura.
Har baje

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