domenica 29 ottobre 2017

Suonano alla porta

L'altro giorno stavo facendo qualche lavoretto nell'orto quando suona il campanello collocato all'ingresso dell'hogar. Incuriosito cerco di sbirciare per capire chi potrebbe essere: pensavo ad una donazione, ad un controllo del gas oppure a dei familiari dei nostri ragazzi che volevano fargli visita. Nulla di tutto questo: da lontano intuisco che è una signora, penso che probabilmente abbia un appuntamento con Liliana per cui ritorno tranquillo alle mie attività.
Passano una manciata di minuti quando mi viene a cercare Sandra, una mia figlioccia che è incaricata nel pomeriggio di fare un po' da portinaia: mi dice che la donna al cancello vorrebbe parlare con qualcuno dei responsabili e visto che non ci sono né Liliana, né l'assistente sociale e tanto meno la psicologa tocca a me riceverla.
Lascio quanto stavo facendo, vado all'ingresso accompagnato dalla ragazza e saluto la signora, accennando un sorriso. Noto la sua espressione preoccupata, mi sembra tesa e mi sorprende quando mi chiede subito quali sono le problematiche dei ragazzi ospitati nel centro, il motivo per il quale sono qui. Spiazzato da tale richiesta rimango sul generico, sottolineando il fatto che non sono i responsabili della struttura a decidere chi ammettere o meno ma è la difensoria dell'infanzia ed adolescenza a stabilirlo: nessuno può entrare come ospite attraverso una scelta interna dell'hogar.
La signora annuisce e fa un gesto di rassegnazione, come ad indicare che lo sapesse già ma non voleva rassegnarsi all'idea. Mi guarda dritta negli occhi e comincia ad aprirsi, inizia a confidarsi con me, con uno che neppure conosce: mi racconta che la richiesta nasce dal fatto che è preoccupata per il figlio di 12 anni perchè non sa più come parlargli, come comportarsi con lui per aiutarlo. Dice che è arrivata ad accompagnarlo a scuola e ad assicurarsi che vi entrasse ma ciò è stato vano: il fanciullo non entrava a lezione e rimaneva a vagare per l'atrio senza fare nulla col risultato di avere 5 materie insufficienti, a cui probabilmente se ne sarebbero aggiunte altre tre. Vista la situazione gli ha dato una specie di ultimatum: se non voleva studiare doveva iniziare o a lavorare oppure iniziare un corso di specializzazione tecnica in modo da costruirsi un futuro. La risposta che ha ricevuto era quella che non doveva intromettersi nella sua vita, non aveva il diritto di imporgli cosa dovesse o non dovesse fare... A questo punto ammette che avrebbe voluto dargli più di uno schiaffo: sento dal tono della sua voce il senso di rabbia e di frustrazione per una situazione da cui non riesce ad uscire.
A questo punto sento il dovere di interrompere il suo racconto, dicendole che ha fatto bene a non passare alle maniere forti col ragazzo per non aggravare il problema, per cercare di calmare la donna ed anche per allontanare la mia figlioccia, che fino a quel momento era stata presente e non volevo che sentisse il seguito della storia, che già immaginavo non sarebbe stata a lieto fine.
La piccola pausa serve alla mia interlocutrice per calmarsi, forse le mie parole sono servite a qualcosa, e per farle riprendere fiato. Ricomincia il racconto dal momento in cui inizia a portare il ragazzo a lavorare con sé e qui la situazione si complica: un giorno, approfittando di una sua assenza di qualche minuto, il figlio scappa e ricompare a casa soltanto a tarda serata. Alle domande di dove fosse finito non risponde, anzi il suo atteggiamento si fa aggressivo. Col passare dei giorni il giovane torna a tarda notte solo per dormire e non si sa cosa faccia tutte quelle ore fuori casa.
Sa che non si può andare avanti così e non può risolvere la cosa da sola: riesce a portare il figlio alla difensoria dell'infanzia e gli spiega cosa sta accadendo, interrogano pure il giovane ma tutto rimane come prima, anzi la situazione precipita. E' costretta a chiudere la porta di casa per non far entrare il figlio, che è sempre più ribelle, ma lui entra per le finestre, addirittura comincia a portare via le sue cose. Per andare dove? E' sicura che per agire in questo modo non è solo, ci deve essere qualcuno che lo consiglia: viene a sapere che dorme da dei vicini ed ha il coraggio di andare da loro per chiedergli se ciò corrispondesse al vero. Le dicono di sì ed ha la forza di dirgli di non riferire al figlio che è venuta a cercarlo, vuole solo sapere se sta bene oppure no. Il giorno dopo la informano che il giovane non dorme più lì ma gira per il quartiere con un gruppo di ragazzi di strada.
Vedo i suoi occhi inumidirsi ma vedo anche quella determinazione e quell'amore che solo una madre può avere: non vuole vedere il figlio trasformarsi in un delinquente, in un drogato, in uno che sniffa colla per non sentire la fame... Se lei non può aiutarlo è importante che qualche altro lo faccia: pazienza se non potrà più vederlo, quello che più conta è che stia bene ed al sicuro dai pericoli di una vita di strada. Me lo dice, me lo grida facendomi capire quanto lo ami e quanto il suo cuore sia lacerato dal dolore provocato da questa situazione.
Mi sta chiedendo aiuto perchè sa che lei non può più fare niente: mi sento del tutto impotente davanti ai suoi occhi... Posso soltanto ascoltarla, farla sfogare perchè probabilmente non sono molti quelli che vogliono sentire le sue parole. Non le ho parlato molto perchè era importante farla parlare, sentire che in questa battaglia non è sola ma c'è sempre qualcuno al suo fianco per aiutarla o semplicemente ascoltare quello che sta provando.
Alla fine del suo racconto le do il numero di telefono dell'assistente sociale del centro ed i giorni in cui la può trovare: sicuramente può dargli delle indicazioni su come districarsi in tutto questo. Mi ringrazia e se ne va prima di scoppiare in lacrime, lasciando in me un senso di profonda tristezza ed una domanda: quanti casi simili al suo ci sono? Non è la prima volta che vengono al centro a chiedere di lasciare i propri figli per motivi economici o di condotta ma stavolta la cosa mi ha colpito profondamente. Mi chiedo se si può fare qualcosa per prevenire situazioni di questo genere, se si può cambiare questa realtà così difficile da mandare giù ma le risposte tardano a venire ed i dubbi, gli interrogativi aumentano e mi spingono a chiedermi: ed io cosa posso fare?
Har baje

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