mercoledì 5 febbraio 2014

Ed è passato un anno...

Sembra ieri quando ho cominciato quest'avventura ed invece è già passato un anno da quando mi trovo qui in hogar! Se mi volto indietro vedo che ho camminato parecchio ma davanti a me la strada è ancora lunga!
Un anno in cui non sono di certo mancati i momenti difficili, fra cui il cui non sapere per tre mesi se sarei rimasto in questa struttura, il sentire nostalgia di casa (a volte è dura sapere che parenti ed amici si trovano dall'altra parte del mondo), la mancanza di qualcuno con cui parlare italiano e condividere quest'esperienza.... Tutto ciò viene però superato di gran lunga dalle cose positive: sto imparando un sacco di cose manuali, scoprendo ogni giorno l'importanza del parlarsi e della condivisione, cercando di dare in ogni cosa una parte di me perchè è questo quello che più conta, il risultato viene dopo. E poi i ragazzi: dai primi giorni ne abbiamo fatti di passi insieme, prima si sono avvicinati timidamente ed ora cominciano ad aprirsi, a confidarsi, iniziando a vedermi come un modello, una figura a cui far riferimento... Una cosa stupenda ma al tempo stesso impegnativa perchè sono un esempio e devo dare il meglio di me ogni giorno, soltanto perchè ciò che faccio è per loro. A volte per chiamarmi gli sfugge dalla bocca la parola “papà”: un termine “pesante” che mi spaventa ma, come mi ha detto qualcuno, se qui in Sudamerica per famiglia si intende un gruppo di persone che si prende cura gli uni degli altri, allora sì, mi sta bene che mi chiamino così anche se è l'ultima cosa che voglio.
12 mesi che si riassumono con la parola amore perchè quando ti trovi a che fare con bambini abbandonati, orfani o violentati non puoi far altro che amarli così come sono: vivaci, monelli, disobbedienti ma con un enorme bisogno di affetto. Grazie a loro mi sento umano, cioè ho riscoperto in me sentimenti che sembravano smarriti vuoi per i ritmi frenetici che la nostra società impone che per la corazza che si è costretti a portare, perchè nella nostra realtà farsi vedere sensibili o fragili significa debolezza. Mai avrei pensato che un giorno mi sarei trovato a consolare un fanciullo perchè gli manca casa o perchè pensa che il mondo ce l'abbia con lui, di piangere con e per loro, a sentirmi impotente quando qualcuno sta male o li vedo battere i denti per il freddo, a condividere le cose che ho perchè in quel momento servono più a loro che a me, a preoccuparmi di sapere come curare qualcuno se sta male o di come va a scuola, a rimproverare un bambino perchè si è comportato male... E tutto questo lo faccio perchè mi ci sono affezionato, gli voglio bene ed ogni giorno cerco di dare loro una parte di me perchè è giusto così, perchè nella vita ho avuto tanto ed è giusta condividerla con chi ne ha bisogno.
Ho conosciuto anche tante persone generose che mi stanno aiutando con questi ragazzi: li ringrazio di cuore perchè, tramite i miei racconti, li sostengono e ripongono fiducia sul mio operato. Grazie anche ai miei genitori, a mio fratello, a parenti ed amici perchè il loro appoggio mi dà forza ogni giorno per il cammino che ho intrapreso e, per ultimo ma non per importanza, al Signore perchè mi ha saputo aspettare e mi ha dato l'opportunità di vivere tutto questo, facendomi Suo piccolo strumento con cui operare.
Har baje

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