martedì 23 aprile 2019

Piccoli episodi che fanno riflettere

La scorsa settimana è stata intensa sotto molti aspetti e non mi lasciava molto tempo libero però mi ha regalato dei momenti, purtroppo per gran parte negativi, che mi hanno spinto a fermarmi ed a pensare.
Il primo mi ha colto di sorpresa ed è giunto in quella che doveva essere una delle tante occasioni per condividere qualcosa coi ragazzi: mi ricordo con precisione che stavo chiacchierando e ridendo con tre o quattro fanciulli, in attesa che il sugo che stavo preparando per la cena fosse pronto, quando una di loro ad un tratto si pone triste e confessa che darebbe tutto quello che ha per poter stare insieme per qualche istante con il suo papà. Continua dicendo che però questo suo desiderio non si avvererà mai visto che lui è morto e non posso non notare che, nel proferire queste parole, i suoi occhi cominciano ad inumidirsi e il suo volto assume un'espressione malinconica: non l'avevo mai vista così. Nel sentirla mi sono raggelato, non esiste manuale al mondo che spieghi come comportarsi in questi casi, ma ero partecipe di quel dolore che esprimeva con i suoi occhi e con il suo viso: avrei tanto voluto cancellarlo ma non avevo questo dono, potevo solamente cercare di sviare il discorso verso altri argomenti spingendo anche gli altri ragazzi presenti a farlo, impresa tutt'altro che semplice visto che stavano tempestando di domande sul padre la protagonista di questo piccolo episodio. Alla fine sono riuscito nel mio tentativo ma ciò mi ha fatto capire quanta sofferenza è celata nel cuore dei fanciulli che ho la fortuna di seguire e come siano capaci di nasconderla e di camuffarla, salvo poi venire a galla nel momento più inatteso.
Due eventi, molto simili tra loro, hanno cambiato il senso della mia giornata di riposo: il primo è aver parlato con una famiglia che aveva suonato al campanello per chiedere informazioni su come potessimo ricevere un ragazzo nella struttura e nei loro toni, nella loro insistenza nel ricevere risposte alle loro domande vedevo la disperazione, la rassegnazione e la consapevolezza che non potevano risolvere la cosa da soli. Mi chiedo per l'ennesima volta cosa può spingere una madre, una zia o una nonna a chiedere che il proprio figlio o nipote venga accolto in una struttura come la nostra e la risposta credo si possa leggere nell'espressione racchiusa nei loro occhi, che racconta di come purtroppo ci si senta inadeguati o meglio impotenti davanti a situazioni molto complicate. L'unica cosa che posso fare è quella di dargli il numero telefonico dell'assistente sociale ma ciò è sufficiente per far rifiorire la speranza nelle donne e negli uomini che ho davanti.
Verso l'ora di pranzo mi trovavo fermo ad un semaforo ed uno dei tanti ragazzini di strada viene verso di me ed inizia a pulire il parabrezza anche se non voglio: lo fermo dicendo che non era il caso mentre guardavo i suoi vestiti sudici. Mentre gli parlo se ne avvicinano altri, tutti avevano meno di 10 anni perchè qualcuno aveva intuito dal logo della camionetta che ero di un hogar: il loro sguardo da spento e triste si era illuminato dopo questa rivelazione, potevo notare una certa eccitazione in quello che si dicevano. Cercano di farmi mille domande sul centro ma evito di rispondere, provo a guardare da un'altra parte e mi accorgo che mentre quei bambini si stanno prodigando a raccogliere degli spiccioli lavando i vetri delle auto ed improvvisando ai semafori piccoli spettacoli ci sono degli adulti seduti sul ciglio della strada. Presumo che sono i loro padri o madri o comunque dei familiari visto che li richiamano per nome quando hanno intascato qualche soldino: stanno lì senza far niente o meglio stanno mangiando qualcosa ma non capisco di che si tratta, altri masticano foglie di coca mentre alcuni hanno un'espressione che fa capire che sono totalmente fatti di alcol o di qualche sostanza. Nel vederli provo un certo ribrezzo perchè comprendo quello che ho davanti a me ed ora mi è chiaro il motivo di quella specie di euforia provata da quella manciata di ragazzini nell'aver scoperto che venivo da un centro di accoglienza: la camionetta che guidavo forse rappresentava per loro un sogno, la speranza che forse era arrivata l'occasione per non vivere più in strada... Quando finalmente scatta il verde posso riprendere il mio cammino ma non posso interrogarmi su quanti fanciulli vivano così e su come non si possa aiutarli tutti, viste anche le difficoltà economiche che vivono gli hogares: come si può cambiare la loro situazione? C'è un'altra via per dargli una mano?
L'ultimo episodio è quello che più mi ha demoralizzato: a seguito di alcuni fatti successi di recente e legati a problemi con i vicini, con Liliana ho deciso di alzare il muro che delimita l'hogar. Questa scelta la vedo come una sconfitta, come un'occasione persa perchè credo che tutto si sarebbe potuto risolvere attraverso il dialogo: quando impareremo che nessuno è portatore della verità assoluta ed è solamente attraverso l'incontro con l'altro che possiamo crescere e migliorare? Perchè ci è così difficile tendere la mano a chi ne ha bisogno mentre è più facile fargli del male?
Har baje

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