giovedì 18 gennaio 2018

Betania

“Ma come, già ci lasci? Dai, l'anno è ancora lungo: perchè non torni a darci una mano? Qui sei sempre il benvenuto!”: queste le parole, tra lo stupore e la speranza, che mi hanno salutato al termine di una piccola esperienza che ho avuto modo di vivere presso la mensa dei poveri di Betania, a Venezia. 
A malincuore ho dovuto spiegare che non potevo più dare man forte a chi con tanto amore e devozione cerca di offrire un piatto caldo ai più disagiati perchè c'era qualche impegno che avevo già preso e poi, soprattutto, sarei presto ritornato dall'altra parte del mondo, dai miei ragazzi.
E' stata un'esperienza fortemente voluta e, anche se breve, è stata molto intensa: avevo bisogno di trovare conferme su quello che è scattato in me dall'incontro con la gente del villaggio di Parlamento e su quelle coincidenze, che poi tali non sono, che mi interrogano e mi ricordano molto da vicino quelle che mi hanno portato in Bolivia. Devo ammettere che le ho trovate, anzi mi sono sentito rinvigorito da quelle poche ore trascorse la sera a Betania.
Devo ringraziare per questa occasione Gianni, il responsabile dei volontari che aiutano in questa mensa: ha avuto la pazienza di spiegarmi come funzionavano le cose e subito mi ha spinto a mettermi in gioco, presentandomi come una sorta di infermiere a due senzatetto che erano raffreddati per aver passato tutto il giorno precedente e la nottata al gelo e sotto la pioggia. La cosa agli inizi mi è sembrata un po' strana, poi però mi son detto che se in hogar curo i bambini quando hanno dei piccoli malanni qui posso farlo con degli adulti e così, dopo aver capito i sintomi che avevano, gli ho dato del paracetamolo. 
Nonostante questo episodio mi sentivo disorientato ed un po' impacciato, ero attento ad osservare e comprendere tutto quello che mi stava intorno per capire come meglio agire. Fortuna che c'era Gianni che capiva il mio stato d'animo e mi spronava, dandomi quella spinta giusta a destarmi da questa specie di torpore, e non mancavano gli ospiti della struttura che, sebbene non mi avevano mai visto prima, mi chiedevano aiuto, mi facevano partecipe dei loro problemi e volevano una mano da parte mia. Sono loro, con il loro sguardo che nasconde un grande vuoto e quell'odore inconfondibile che ormai associo alla povertà, alla miseria, che mi portano a cercare di dare il meglio per soddisfare le loro richieste e questo non mi intimorisce, non mi fa paura perchè ripongono in me una sorta di fiducia nonostante sia un perfetto sconosciuto. Mi ricordano tanto i miei ragazzi, forse perchè quando ti senti solo o hai un vuoto dentro le pretese sono le stesse e ti cerchi di aggrappare a chi ti tende la mano per farti rialzare. 
Il giorno dopo la responsabile della cucina (purtroppo non riesco a ricordarne il nome), una volta saputo di cosa mi occupo, mi assegna vari compiti in quanto ha notato che mi adatto facilmente e cerco di fare prendendo l'iniziativa. Mi ritrovo in cucina e mi viene da sorridere scoprendo che ci sono alcuni problemi molto simili a quelli presenti in hogar: è uno strano destino che accomuna sempre chi cerca di fare del bene al prossimo, la strada purtroppo non è mai semplice ma l'importante è non mollare mai! Mi incaricano di dare il pane agli ospiti ed anche una minestra calda, solo nel caso in cui la chiedessero: approfittando di essere l'ultimo a servirli, decido di buttarmi e di augurargli buon appetito. Noto con piacere che la cosa è apprezzata, qualcuno abbozza un sorriso e me ne rallegro. Si ferma per qualche attimo il marocchino a cui avevo dato delle pastiglie il giorno prima per curare il raffreddore: mi ringrazia moltissimo in quanto la sua salute è migliorata, lo vedo contento e non posso che esserne felice.
Mi rendo conto che c'è un gruppo fisso che si presenta ogni sera: la maggioranza sono stranieri e c'è chi non riesce a guardarti negli occhi, alcuni nemmeno li alzano per un senso di vergogna a trovarsi lì; c'è chi si alza e se ne va senza dire niente mentre c'è chi, una volta finita la cena, saluta tutti e grida un grazie, segno di riconoscenza verso chi gli ha dedicato qualche ora. E' una moltitudine variegata, un piccolo mosaico di gente accomunata da varie difficoltà che li induce a chiedere aiuto, ad esigere attenzioni che non hanno e vorrebbero. Un gruppo di persone che mi spinge ad interrogarmi, a ritenermi fortunato per quello che la vita finora mi riservato e mi ha fatto scoprire una pace, una serenità interiore mentre mi ritrovo a servirli. Averli incontrati è stata una ricchezza e credo mi abbia reso migliore: mi dimostrano una volta di più quanto sia grande l'Amore, capace di trasformarti solo se glielo permetti e di farti vedere l'altro come un fratello, come un'occasione per tirare fuori il meglio che hai.
Har baje

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